La ricchezza degli italiani è crollata.
Il Pil in volume pro-capite dell’Italia, misura sintetica del tenore di vita del paese, è stato nel 2021 inferiore del 7,1% rispetto al valore del 2007, ossia dell’ultimo picco toccato dalla nostra economia prima di entrare nel quindicennio intercalato da ripetute recessioni e deboli riprese.
Il deterioramento è in effetti ancora più ampio, compreso tra il 13 e il 20%, se lo si misura rispetto al livello a cui il Pil pro-capite si sarebbe dovuto trovare se si fosse sviluppato ai ritmi, pur molto contenuti, che avevano caratterizzato il periodo antecedente il 2007”.
Lo sostiene l’economista Sergio De Nardis.
“Quest’ultima misura fornisce maggiormente un’idea della distanza dalle aspettative di reddito che gli italiani avevano 15 anni fa. Un trentenne che metteva su famiglia nel 2007 calcolava, in media, un reddito nei suoi 45 anni di circa il 20% più elevato di quello che si è ritrovato nelle tasche. Un’attesa andata delusa con conseguenze rilevanti: quel trentenne ha avuto uno o due figli che hanno ricevuto una formazione probabilmente inferiore a quella che sarebbe stata possibile sulla base delle originarie aspettative e le cui attese di futura carriera lavorativa si trovano già da ora penalizzate” scrive l’economista sul magazine digitale InPiù.net.
Si sta parlando di valori medi e poiché molti che elaborano e leggono queste cifre non vi riconoscono l’evoluzione delle condizioni finanziarie personali, ciò sta a indicare che la dispersione intorno alla media è stata ampia: a tanti è andata peggio.
Non è un caso se in tale arco di tempo l’incidenza della povertà assoluta è raddoppiata tra le famiglie, triplicata tra gli individui.
Un’esperienza così negativa è unica sia nel confronto con gli altri paesi europei (a eccezione della Grecia) sia nel confronto storico.
Neppure in occasione delle due guerre mondiali il Pil pro-capite dell’Italia è arretrato per così lungo tempo.
Nella seconda la caduta fu certamente più rovinosa, ma seguita dalla rinascita post-1945.
Nella prima l’andamento antecedente e immediatamente successivo allo scoppio del conflitto fu sorprendentemente simile all’attuale, ma poi seguì l’espansione dei roaring 20s.
Oggi ci troviamo, dunque, con una dinamica di Pil pro-capite da guerra prolungata, pur non avendola combattuta.
Le cause di ciò non sono così ovvie da individuare (la produttività è cresciuta dal 2007, mentre la proporzione della popolazione in età di lavoro è scesa).
Ma indipendentemente da esse, è in questa esperienza che bisogna cercare il principale motivo di resistenza sociale e politica a entrare in un ulteriore avvitamento a causa di una nuova (questa volta vera) guerra: i condizionatori non c’entrano” conclude De Nardis.
Claudia Treves
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