La Corte Suprema Usa annulla l’imposizione sull’aborto
Con un voto di 6-3 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la Roe contro Wade, la sentenza che nel 1973 aveva imposto l’aborto in tutta la nazione.
Con essa decadono anche le decisioni collegate, come la Casey contro Planned Parenthood. Il diritto di decidere in materia viene così restituito ai singoli Stati e ai loro rappresentanti eletti.
Dichiarazioni infuocate e irresponsabili da parte del gotha del Partito Democratico e dello stesso Biden, disposti a tutto pur di reimporre l’aborto nell’intero Paese. Chiese e centri pro vita temono per la “Notte di rabbia” annunciata dai terroristi pro aborto.
Nel giorno del Sacro Cuore di Gesù, venerdì 24 giugno, la Corte Suprema statunitense, intorno alle 10 del mattino (le 16 in Italia), ha pubblicato la storica sentenza che ribalta definitivamente quanto stabilito nel 1973 con la decisione Roe vs Wade.
Una sentenza che pone fine a mezzo secolo di aborto legalizzato a livello federale negli Stati Uniti e che ha favorito la sua diffusione in tutto il mondo.
Oltre alle minacce di vandali e terroristi, ieri anche il presidente Joe Biden e il procuratore generale degli Usa, Merrick Garland, hanno accusato i giudici e minacciato ritorsioni.
Il parere, relativo al caso della legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane (Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization), non solo ribalta la Roe ma anche tutte le sentenze successive (ad esempio la Casey vs Planned Parenthood del 1992): non c’è diritto costituzionale all’aborto, la Costituzione non vieta ai singoli Stati federati di legiferare su questo tema che è profondamente morale; perciò, scrivono i giudici, ora “annulliamo queste decisioni e restituiamo tale autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”.
Nella sentenza Roe vs Wade, la Corte Suprema aveva stabilito che gli Stati non possono vietare l’aborto prima della soglia di sopravvivenza, che i giudici fissavano arbitrariamente e approssimativamente attorno alle 28 settimane di gravidanza.
Ora tutto è azzerato.
La decisione pubblicata ieri non vieta né criminalizza l’aborto e non riconosce nemmeno il diritto costituzionale alla vita del nascituro.
Tuttavia, in un colpo solo, elimina tutta la catasta di sentenze che lo legalizzavano e giustificavano in ogni angolo del Paese e che per decenni hanno bloccato le leggi dei singoli Stati che tentavano di vietare o limitare l’omicidio dell’innocente nel grembo materno.
Ora il campo di battaglia per i pro life si trasferirà sempre più all’interno dei singoli Stati, dove nelle elezioni per i membri dei parlamenti statali e per i governatori sarà sempre più dirimente l’impegno per la vita del nascituro e la loro madre.
È agli elettori degli Stati Uniti e agli organi democraticamente eletti che la Corte Suprema riaffida il potere di decidere, invitandoli ad assumersi le proprie responsabilità di discutere e regolare l’aborto o il diritto alla vita come meglio credono.
In ogni caso, la sentenza di ieri segna una grande vittoria per la vita del concepito, l’inizio della fine della grande menzogna dell’aborto come diritto umano e della moda di morte che dal 1973 era spirata dagli USA in tutto il mondo.
Una vittoria epocale per la Chiesa cattolica e le chiese cristiane, un grande riconoscimento all’impegno dei pro life negli ultimi 50 anni, ma anche e soprattutto per la democrazia americana e il principio di sussidiarietà.
Il parere di maggioranza è stato scritto dal giudice associato Samuel Alito; e i giudici associati Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett si sono uniti al parere.
Il presidente della Corte Suprema John Roberts ha presentato un’opinione concordante (concurring opinion) che sostiene la decisione finale, dopo le voci maliziose che nell’ultima settimana lo volevano in agitazione per mitigarla.
Solo i giudici associati liberal Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan hanno dissentito.
Dunque la sentenza Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization ha registrato sei giudici favorevoli (5 più il presidente) contro 3 contrari.
Ci sono state dichiarazioni infuocate e irrispettose dei leader del Partito Democratico americano, da Barack e Michelle Obama a Hillary Clinton e Nancy Pelosi.
Intanto, i procuratori generali e i governatori di vari Stati Repubblicani hanno dichiarato l’entrata in vigore delle leggi pro life che avevano predisposto (come in Dakota del Sud, Missouri, Texas, etc., ma anche in Louisiana, retta da un governatore Dem); in altri Stati i governatori Democratici hanno annunciato sessioni speciali per deliberare leggi che consentano l’omicidio dell’innocente sempre e liberamente.
Gravissimo il comunicato di Merrick Garland contro la sentenza della Corte Suprema. Garland, da capo del Dipartimento di Giustizia, non ha mosso un dito per arrestare i terroristi pro aborto e ora si permette di denunciare quelli che lui ritiene abusi della Corte.
Peggio di lui ha fatto solo il presidente Biden che, nel suo messaggio alla nazione, ha criticato e sbeffeggiato la decisione della Corte Suprema e i giudici conservatori, avvertendo che ciò “mette a rischio la salute delle donne in tutto il Paese” e facendo capire di essere pronto ad usare ogni strumento, come una dichiarazione di emergenza nazionale e/o l’emanazione di un ordine esecutivo pro aborto da imporre in tutti gli USA.
Sarebbe una sfida senza precedenti alla democrazia, ma i Democratici sembrano disposti a tutto.
Claudia Treves
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