Lo Stato centrale non ha pagato fatture per 5,2 mld
Nel 2021 l’Amministrazione centrale dello Stato ha ricevuto dai propri fornitori 3.657.000 fatture per un importo complessivo pari a 18 miliardi di euro.
Ne ha liquidate 2.420.000, corrispondendo a queste imprese 12,8 miliardi, “dimenticandosi”, si fa per dire, di saldarne 1.237.000.
Grazie a questo espediente, lo Stato centrale ha “risparmiato” ben 5,2 miliardi.
Dei 12,8 miliardi onorati, inoltre, il 28,2% (pari a 3,6 miliardi di euro) è stato pagato in ritardo, ovvero non rispettando le disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento.
Questi numeri sono il risultato di una elaborazione realizzata dall’Ufficio studi CGIA su dati della Corte dei Conti.
Una cosa inaudita, segnalano gli artigiani, che dimostra come la Pubblica Amministrazione, in questo caso quella centrale, continua a mettere a repentaglio la tenuta finanziaria di tante imprese, soprattutto di piccola dimensione, attraverso una condotta, in materia di pagamenti, a dir poco disdicevole.
Infatti, come ha evidenziato la Corte dei Conti, la Pubblica Amministrazione (PA) sta adottando una prassi sempre più consolidata; liquida le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così il tempo medio di pagamento ponderato entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, in particolar modo, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese.
L’Ufficio studi della CGIA ricorda che i mancati pagamenti appena descritti non includono anche quelli ascrivibili alle regioni, agli enti locali (province, comuni, comunità montane, etc.) e alla sanità.
Settori, questi ultimi, che da sempre presentano tempi di pagamento (medi e ponderati) e debiti commerciali nettamente superiori a quelli registrati dallo Stato centrale.
Pertanto, la denuncia sollevata è solo la punta dell’iceberg di un malcostume che, purtroppo, attanaglia tutta la PA.
Lo stock dei debiti commerciali di parte corrente dell’intera Pubblica Amministrazione (PA) continua a crescere: nel 2021, ultima rilevazione presentata nei mesi scorsi, ha toccato il record di 55,6 miliardi di euro.
Una cifra che rapportata al Pil nazionale è pari al 3,1%: nessun altro Paese dell’UE a 27 registra uno score così negativo.
Dei nostri principali competitor commerciali, ad esempio, i debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono pari allo 0,8%, nei Paesi Bassi all’1,2%, in Francia all’1,4% e in Germania all’1,6%.
Persino la Grecia, che l’anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203%o, presenta un’incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà della nostra: 1,7%.
Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private.
Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, nel 2021 la Commissione europea ha inviato al Governo Draghi una lettera di messa in mora sul mancato rispetto delle disposizioni previste dalla direttiva europea approvata 10 anni fa.
Infine, un’altra procedura ancora aperta contro l’Italia riguarda il codice dei contratti pubblici che prevede un termine di pagamento di 45 giorni, quando a livello comunitario la scadenza, invece, è di 30 giorni.
Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per l’Ufficio studi della CGIA c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario.
Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da decenni.
E finalmente, pare ci sia qualche segnale che va nella giusta direzione.
In sede di conversione in legge del Decreto aiuti, giovedì scorso le Commissioni Finanze e Bilancio della Camera hanno approvato un emendamento che renderebbe strutturale la proposta richiamata più sopra.
Ora non resta che incrociare le dita e attendere fiduciosi.
Claudia Treves
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