La crescita nel 2022 è stimata al +3,2%
La crescita economica nella Penisola ha segnato una accelerazione nel secondo trimestre e la Banca d’Italia ha rivisto al rialzo la previsione sul Pil di quest’anno al più 3,2%, prevalentemente a riflesso della dinamica già acquisita.
Ma al tempo stesso ha modificato in senso opposto, al ribasso, la stima sul 2023 al più 1,3% e ha limato quella sul 2024 al più 1,7%. I dati sono contenuti nell’ultimo Bollettino economico e riguardano lo “scenario di base”, in cui si assume che il conflitto si protragga per tutto il 2022, senza tuttavia condurre a una totale interruzione delle forniture energetiche dalla Russia.
Poi c’è lo “scenario avverso”.
Un inasprimento della guerra in Ucraina tale da determinare uno stop alle forniture energetiche russe, che avrebbe ricadute molto pesanti: “interruzioni produttive nelle attività industriali, caratterizzate da più elevata intensità energetica, maggiori rincari delle materie prime, un impatto più forte su incertezza e fiducia e una dinamica più debole della domanda estera”, rileva Bankitalia.
In questo caso l’istituzione di Via Nazionale prevede che il Pil aumenti “di meno dell’1 per cento nel 2022” per poi “diminuire nel prossimo anno di quasi 2 punti percentuali”.
Intanto l’inflazione raggiungerebbe il 9,3 per cento nel 2022 e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 7,4, per scendere marcatamente solo nel 2024.
Tornando allo scenario di base, un sostegno considerevole all’attività economica dovrebbe arrivare dalla politica di bilancio e dagli interventi delineati nel Pnrr.
L’occupazione si espanderebbe lungo l’intero orizzonte previsivo, seppure a un ritmo inferiore rispetto al Pil.
Bankitalia riporta tuttavia che già adesso circa tre quarti delle imprese manifatturiere riportano difficoltà di approvvigionamento di materie prime e input intermedi e quasi due terzi sono ostacolate nella propria attività dai rincari energetici.
Nello scenario previsionale di base, l’inflazione raggiungerebbe il 7,8% sulla media di quest’anno, per poi smorzarsi al 4% il prossimo e al 2% nel 2024.
Intanto, guardando alle dinamiche di mercato, Bankitalia rileva che nonostante il peggioramento delle prospettive di crescita, “il brusco aumento dei rendimenti e del differenziale osservato in Italia non appare giustificato dalle condizioni macroeconomiche di fondo”.
Il rapporto fra debito e Pil è previsto in discesa.
La vita media residua del debito elevata (vicina agli otto anni) attenuerà, diluendolo nel tempo, l’impatto della salita dei tassi sulla spesa per interessi.
E “anche i repentini cambiamenti di alcuni indicatori di rischio, quali il premio per il rischio di ridenominazione e l’attività sui mercati dei derivati a copertura di rischi diversi da quelli originati dal mercato sovrano italiano, sembrano contribuire alla percezione di un disallineamento – aggiunge Bankitalia – tra le valutazioni di mercato e i fondamentali economici”.
Considerazioni che arrivano a meno di una settimana dal Consiglio direttivo della Bce, che oltre a decidere materialmente il più volte primo aumento dei tassi di interesse da 11 anni (sono attesi 0,25 punti in più) dovrebbe anche discutere del nuovo strumento antispread su cui si è deciso di accelerare i preparativi.
Dalle dichiarazioni viste nelle ultime settimane da parte di vari esponenti, la discussione appariva ancora aperta.
Nel frattempo le indagini presso le banche evidenziano un modesto irrigidimento nelle loro politiche di offerta, confermato dal peggioramento delle condizioni di accesso percepito dalle imprese.
Il Bollettino economico rileva inoltre che i mercati finanziari italiani hanno risentito dell’accelerazione nella normalizzazione delle politiche monetarie e del deterioramento delle prospettive di crescita economica.
E proprio su questi aspetti, i dati contestualmente pubblicati nel rapporto mensile dell’Abi, mostrano che i tassi sui nuovi mutui in Italia hanno superato il 2%, toccando i massimi da quasi cinque anni a questa parte.
A giugno il tasso medio sulle nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni ha toccato il 2,05%, a fronte dell’1,92% del mese precedente. In base alle tabelle storiche dell’associazione si tratta del livello più alto dall’agosto del 2017, quando questa voce risultava pari al 2,11%.
L’Abi tuttavia precisa che i tassi di interesse sulle operazioni di finanziamento in Italia restano a “livelli particolarmente bassi”.
Questo riguarda anche i mutui, dato che si proviene da una lunga fase in cui queste voci sono state ai minimi anche a riflesso di tassi Bce ai minimi storici.
L’Abi ricorda che a fine 2007 i tassi sui nuovi mutui i Italia erano al 5,72%. peraltro, come già rilevato nei mesi scorsi, i mutui stipulati a tasso fisso dai consumatori negli anni passati non risentono di queste fluttuazioni.
Sempre secondo l’associazione a giugno il tasso medio sul totale dei prestiti è pari al 2,18% (2,16% nel mese precedente e 6,18% prima della crisi, a fine 2007).
Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è all’1,49% (1,20% il mese precedente; 5,48% a fine 2007).
Guglielmo d’Agulto
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