Viktor Orbàn: la guerra durerà sino al 2024
La guerra in Ucraina non finirà prima del 2024, dopo le prossime elezioni negli Stati Uniti.
E non sarebbe scoppiata se alla Casa Bianca fosse rimasto Donald Trump, con Angela Merkel cancelliera in Germania.
Parole di Viktor Orbán: il primo ministro ungherese è intervenuto a Tusványos, un evento che si svolge ogni anno in Romania, e non ha deluso le attese
Secondo Orbán, in Ucraina non ci sarà un cessate-il-fuoco senza un negoziato tra Russia e Stati Uniti.
Vladimir Putin non vuole più trattare con i leader europei, a suo dire incapaci di far rispettare gli accordi di Minsk del 2015 che comprendevano la tutela delle minoranze russe nelle regioni orientali del Paese.
Ma anche il dialogo tra Mosca e Washington è impossibile fino a che l’interlocutore rimane Joe Biden: i negoziati di pace diventeranno più probabili solo dopo le elezioni americane.
Statunitensi ed europei, comunque, dovrebbero concentrarsi su come ottenere la pace invece che su come vincere la guerra, una critica nemmeno troppo velata alla presa di posizione e al supporto militare di Usa e Ue a favore dell’Ucraina.
Anche perché c’è poco da temere: i russi, secondo Orbán, non attaccheranno mai un Paese della Nato, visto che l’Alleanza atlantica è troppo forte militarmente.
La riflessione di Orbán si allarga poi oltre la guerra, come riporta la stampa locale.
Il 2030, a suo dire, segnerà un punto di svolta nel mondo occidentale, con un’escalation totale del conflitto tra il Nord e il Sud del mondo, che si sovrappone a quello tra Ovest ed Est, con nordamericani ed europei che stanno già perdendo “la sfida delle delle risorse naturali e delle materie prime“.
L’Ungheria da parte sua deve arrivare pronta al prossimo decennio e raggiungere il picco della sua forza.
Nel suo Paese, sostiene Orbán, la grande sfida riguarda due temi in particolare, l’immigrazione e le politiche di genere, questioni per cui spesso il suo governo è stato criticato dalle istituzioni dell’Unione Europea.
“C’è una guerra, una crisi energetica e un’inflazione bellica, e tutto questo disegna un velo davanti ai nostri occhi. Un velo che nasconde le questioni di genere e la migrazione. Perché in realtà il nostro futuro gira attorno a questi temi. Questa è la grande, storica battaglia che stiamo combattendo: demografia, migrazione e questioni di genere. È proprio questa la posta in gioco nella lotta fra la destra e la sinistra”.
Una battaglia politica da combattere non solo internamente, ma anche a Bruxelles.
“Se resteremo fuori dalla guerra, dalla migrazione, dalla follia di genere, dalla tassa minima globale e dalla recessione economica, l’Ungheria sarà in grado di mantenere il suo successo”.
Il festival Tusványos si tiene a Baile Tusnad, in Transilvania, una zona che fino al 1920 faceva parte del Regno d’Ungheria e dove vive la popolazione magiara dei Szekely.
In tutto in Romania risiedono più di un milione di ungheresi e Tusványos, parte di una summer school sospesa per due anni a causa della pandemia, rappresenta un appuntamento fisso per Orbán, che utilizza l’occasione per rafforzare i legami con le minoranze di connazionali nei Paesi vicini.
Alla vigilia del suo intervento ha incontrato infatti i rappresentanti dei partiti etnici ungheresi Romania, Slovacchia, Serbia, Croazia e Slovenia, tutti Stati che ospitano una minoranza magiara più o meno cospicua a secondo dei casi.
L’accoglienza al festival per il primo ministro è stata come sempre trionfale e solo un episodio ha rovinato l’atmosfera.
Alcune persone, poi allontanate dalla polizia e insultate dagli altri presenti, hanno esposto uno striscione con la scritta “La Transilvania è terra romena“.
Per qualcuno un’ovvietà sancita dalla geografia, per altri una provocazione non giustificata dalla storia.
Arnaud Daniels
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