A rischio 35 mld di fondi Ue per salvare i campi
La campagna elettorale non fermi gli interventi necessari per garantire la sopravvivenza delle imprese agricole, gli investimenti per ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare a imprese e cittadini la possibilità di produrre e consumare prodotti alimentari al giusto prezzo. È l’appello lanciato dal presidente della Coldiretti all’Assemblea Nazionale della Coldiretti nel denunciare il rischio di perdere 35 miliardi di fondi europei per l’agricoltura italiana nei prossimi cinque anni ma anche la necessità di attuare al più presto le misure previste dal Pnrr (leggi il documento completo con le cinque priorità per i primi 100 giorni di Governo)
Sulla Politica agricola comune occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale senza il quale non sarà possibile far partire la nuova programmazione dal 1° gennaio 2023. Si parla di una dotazione finanziaria di 35 miliardi per sostenere l’impegno degli agricoltori italiani verso l’innovazione, la sostenibilità e il miglioramento delle rese produttive, tanto più vitali in un momento dove la guerra in Ucraina ha mostrato tutta la strategicità del cibo e la necessità per il Paese di assicurarsi la sovranità alimentare.
Lo sforzo di modernizzazione e la digitalizzazione dell’agricoltura italiana e dell’intero Paese non può fare a meno del Pnrr, dove serve il massimo impegno di tutti per non rischiare di perdere quella che è un’occasione irripetibile. Dopo la pubblicazione del bando filiere serve accelerare anche su quello del fotovoltaico, che apre alla possibilità di installare pannelli fotovoltaici sui tetti di circa 20mila stalle e cascine senza consumo di suolo, contribuendo alla transizione green e riducendo la dipendenza energetica del Paese.
Allo stesso modo, il bando sulla logistica è fondamentale per agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto dell’Europa, superando il gap che ci separa dagli altri Paesi.
In coerenza con gli impegni del Pnrr, la prossima legge di bilancio dovrà sostenere il ruolo dell’agroalimentare nazionale, che oggi rappresenta il 25% del Pil ed è diventata la prima ricchezza del Paese, con misure per tutelare il reddito delle aziende agricole, anche a livello di tassazione.
Misure indispensabili anche per fronteggiare il drammatico aumento dei costi, con punte del +250%.
Uno tsunami che si è abbattuto sulle aziende agricole con aumenti dei costi che vanno dal +95% dei mangimi al +110% per il gasolio fino al +250% dei concimi dove per sfuggire al ricatto della Russia che e un grande produttore occorre cogliere l’opportunità del digestato Made in Italy che consentirebbe agli agricoltori italiani di poter disporre di una sostanza fertilizzante 100% naturale e che deriva dalla lavorazione dei reflui, in un’ottica di economia circolare.
Ma in questo momento storico particolare è necessario sostenere le famiglie e i consumi interni e in tale ottica risulta fondamentale la riduzione del costo del lavoro in agricoltura con il taglio del cuneo fiscale girando la cifra direttamente in busta paga ai dipendenti garantendo loro una maggiore capacità di spesa. Sul fronte del lavoro e dell’occupazione è strategico superare al più presto i vincoli burocratici che rallentano l’assunzione dei lavoratori stagionali per salvare i raccolti sopravvissuti alla siccità dalla frutta alla verdura, dalle olive alla vendemmia.
Non è possibile che per colpa della burocrazia le imprese perdano il lavoro di una intera annata agraria.
Si tratta di assicurare i nulla osta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall’estero, ma occorre anche introdurre un contratto di lavoro occasionale per consentire anche ai percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani di poter collaborare temporaneamente alle attività nei campi per questo sono importanti sia un piano per la formazione professionale che misure per ridurre la burocrazia.
Serve un decreto legge urgentissimo per modificare l’articolo 19 della legge 157 del 1992, ampliare il periodo di caccia al cinghiale e dare la possibilità alle Regioni di effettuare piani di controllo e selezione nelle aree protette.
Decine di migliaia di aziende vedono ogni giorno il proprio lavoro cancellato dai 2,3 milioni di cinghiali proliferati senza alcun controllo e che rappresentano un pericolo per la salute e la sicurezza dei cittadini.
Un flagello per i campi e per le tavole con la siccità che ha ulteriormente ad aggravato il deficit alimentare dell’Italia che produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
Una situazione determinata soprattutto dai bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.
In Europa occorre portare avanti la battaglia contro il Nutriscore, i sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo che alcuni Paesi stanno applicando su diversi alimenti sulla base dei contenuti in grassi, zuccheri o sale. Sistemi fuorvianti, discriminatori ed incompleti che finiscono paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta.
Ma una minaccia letale per l’agricoltura italiana e la salute dei consumatori viene anche dal cibo sintetico, dalla bistecca fatta nel bioreattore al latte senza mucche. Un attacco alle stalle italiane e all’intero Made in Italy a tavola portato dalle multinazionali del cibo che dietro belle parole come “salviamo il pianeta” e “sostenibilità”, nasconde l’obiettivo di arrivare a produrre alimenti facendo progressivamente a meno degli animali, dei campi coltivati, degli agricoltori stessi.
Non possiamo accettarlo.
Così come va sempre ribadito il principio di reciprocità negli accordi commerciali e non si può accettare il trattato Ue-Mercosur, che rischia di aprire le porte a prodotti che utilizzano più di 200 pesticidi non autorizzati in Italia e ad aumentare la deforestazione e l’inquinamento, mettendo in ginocchio le imprese agricole europee.
Bisogna chiedere all’Europa coraggio per la transizione ecologica, con il via libera alla ricerca in campo delle new breeding techniques, da distinguere dagli Ogm transgenici e alle politiche di sostenibilità per rendere l’agroalimentare sempre più competitivo.
Riccardo Dinoves
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