La Cina a breve potrebbe abbandonare Wall Street
I rapporti Usa-Cina si complicano ulteriormente.
Dopo la visita della speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi, a Taiwan, l’isola che Pechino rivendica come propria dalla fine della Seconda guerra mondiale, un fatto che ha innescato intere giornate di raid mìilitari attorno a Taipei, giovedì dagli Usa è trapelata la notizia che l’amministrazione Biden sta rivedendo i dazi su 370 miliardi di dollari di beni provenienti dalla Cina. Anche perché la Cina continua a sostenere la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina a fine febbraio.
E oggi, venerdì, sono arrivate a Wall Street le richieste, separate, di delisting da parte di diversi colossi cinesi. Si tratta di PetroChina, China Life Insurance, Sinopec e Aluminum Corp. of China, la cui capitalizzazione complessiva si aggira attorno a 310 miliardi di dollari, circa la metà del valore di tutta Piazza Affari.
I gruppi cinesi hanno previsto di uscire dal Nyse fra fine agosto e gli inizi di settembre, secondo quanto riporta Marketwatch (gruppo Wall Street Journal).
La decisione arriva nel momento in cui la Securities and Exchange Commission ha avvertito mesi fa che sono 273 le società cinesi quotate a Wall Street a rischio di espulsione perché non forniscono adeguate informazioni.
Il tema dell’audit, la valutazione indipendente di un soggetto esterno, è diventata centrale sotto l’amministrazione Trump visto che le società cinesi quotate negli Usa sono accusate di non fornire la stessa trasparenza di quelle americane alle Authority di Borsa.
Un tema divenuto più rilevante negli Usa dopo l’invasione dell’Ucraina, con la Russia protetta dalla Cina e di recente dopo le tensioni su Taiwan.
I giochi di guerra della Cina intorno a Taiwan hanno spinto gli Usa a ricalibrare l’idea di eliminare alcuni dazi nei confronti di Pechino e addirittura imporne altri.
Una decisione complessa, dal momento che il presidente Joe Biden ha studiato per mesi vari modi per alleviare i costi per i contribuenti americani dei dazi imposti alle importazioni cinesi durante il mandato del predecessore Donald Trump, nel tentativo di ridurre l’inflazione.
Biden ha preso in considerazione una combinazione tra l’eliminazione di alcuni dazi, l’avvio di una nuova Sezione 301 nella quale inserire tariffe aggiuntive e l’ampliamento di un elenco di esclusioni tariffarie per aiutare le società statunitensi che possono ottenere determinate forniture solo dalla Cina, ha scritto Reuters.
Al momento tutte le opzioni rimangono sul tavolo, ha affermato la Casa Bianca. Ridurre l’inflazione è un obiettivo importante per Biden, un democratico, in vista delle elezioni di Mid Term a novembre, che potrebbero spostare il controllo di una o entrambe le camere del Congresso sui repubblicani.
L’amministrazione Trump aveva approvato l’esclusione dai dazi relativi a oltre 2.200 categorie di importazione, inclusi molti componenti industriali e prodotti chimici critici, ma sono scadute quando Biden è entrato in carica a gennaio 2021.
La rappresentante commerciale degli Stati Uniti Katherine Tai ne ha ripristinate solo 352.
I dazi sulla Cina sono stati imposti nel 2018 e 2019 da Trump su migliaia di importazioni cinesi valutate allora 370 miliardi di dollari per fare pressione sulla Cina per il suo sospetto furto di proprietà intellettuale degli Stati Uniti.
Alla fine del 2019 era stato siglato un accordo commerciale in base al quale Trump chiedeva alla Cina di aumentare gli acquisti di prodotti agricoli e manifatturieri statunitensi, ma Pechino non ha mantenuto le promesse.
Intanto l’ufficio del commercio Usa è alla prese con una revisione legale dopo quattro anni delle tariffe imposte da Trump, che potrebbe richiedere ancora qualche mese per essere completata.
Un commento ufficiale sull’opportunità di mantenere in vigore i dazi sono previsti entro il 23 agosto.
La Casa Bianca ha rifiutato però di stabilire una tempistica su quando verrà presa una decisione finale.
Arnaud Daniels
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