Mai così alto il debito pubblico dal 1861 ad oggi
A giugno del 2022 l’andamento del debito pubblico italiano ha toccato un nuovo record: 2.766 miliardi e 376 milioni di euro.
È vero: il problema non è il numero di miliardi che l’Italia deve restituire a chi gli ha prestato soldi acquistando titoli come Bot e Btp, ma il numero fa impressione comunque anche perché è di 11 miliardi superiore a quello del mese precedente.
Il vero dato, come detto, al quale occorre prestare attenzione è quello del rapporto tra il debito pubblico, quei 2.766.376 miliardi, appunto, e il Pil annuale dell’Italia. Ebbene, anche questo rapporto fa impressione.
Secondo i dati più aggiornati, quelli di Eurostat, alla fine del primo trimestre del 2022 il rapporto era pari a 156,2% del Pil rispetto al 150,8% degli ultimi 3 mesi del 2021. Quindi: aumenta il numero assoluto e aumenta anche il rapporto al Pil: questo significa che la crescita del debito pubblico è superiore rispetto alla crescita del Pil.
È giusto, però, andare più indietro nel tempo per capire come si è arrivati a questo macigno che pesa sui conti pubblici italiani. Come si vede nel grafico in alto, dagli anni Settanta in poi il rapporto debito/Pil ha fatto registrare una crescita poderosa, con sporadici rallentamenti, ma i livelli da record – almeno fino alla crisi economica scatenata dalla pandemia – non erano stati più raggiunti.
La ragione dell’aumento di quegli anni sta nell’incremento del deficit, ovvero della differenza tra entrate e uscite, causato da un intervento sempre più importante dello Stato.
Per esempio tramite la realizzazione di un Sistema Sanitario Nazionale, ma anche di misure di welfare e assistenziali come gli incrementi degli stipendi dei dipendenti statali e delle pensioni.
Degli stessi anni è il varo delle cosiddette “baby pensioni”.
Fino a un certo punto la crescita del rapporto debito/Pil è stata frenata dall’inflazione, ovvero il debito cresceva, sì, ma come i prezzi, e in termini reali si trattava di un aumento contenuto.
Con la fine del carovita in doppia cifra, negli anni ’80, è emerso il vero peso del debito, e si sono fatti sentire gli alti interessi, a volte anche superiori al 10%, che lo Stato doveva pagare su di esso. Sono stati loro, ancora più del deficit, a costringere lo Stato e emettere altri titoli per poterli ripagare.
Si arrivò così al 120% del 1994. Dopo allora una politica di minore spesa, che rese le le uscite minori delle entrate (escludendo gli interessi), e il calo del tasso di interesse determinato dall’arrivo dell’euro, hanno portato a una riduzione del debito fino al 104% del Pil del 2007.
La crisi economica successiva però lo ha riportato in breve oltre il 130%. E ogni progetto di ridimensionamento poi è stato archiviato dall’arrivo del Covid.
Nel 2021 il governo in carica aveva previsto che nel 2022 il debito pubblico avrebbe iniziato la discesa, con un rapporto debito/Pil al 156,3%, per poi calare ancora nel 2023 al 155% e nel 2024 al 152,7%. Poi la Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, in sostanza le previsioni economiche per anni successivi presentate in autunno) ha aggiornato queste stime sul debito pubblico in senso ancora più ottimistico: 153,5%.
Si tratta comunque di numeri al lordo delle cifre sborsate dall’Italia, come da altri Paesi, alle istituzioni europee per esempio per la formazione del Fondo Salva Stati. Se il calcolo fosse al netto di questi contributi il debito nel 2021 sarebbe del 156,5% del Pil e nel 2024 scenderebbe sotto il 150%. Ma anche senza considerare questo aspetto, quelle previsioni si sono rivelate sbagliate. Come detto: oggi il rapporto tra il debito pubblico e il Pil è del 156,2%.
Sempre nel 2021 il governo ha previsto che il calo (che non c’è stato) si sarebbe dovuto realizzare grazie a un’importante riduzione del disavanzo primario, ovvero la differenza tra entrate e uscite, sempre in proporzione al Pil, dovuto soprattutto alla crescita del Prodotto Interno Lordo stesso, oltre che a un aumento del gettito superiore a quello della spesa.
Insomma, lo Stato avrebbe dovuto prendere meno risorse in prestito dal mercato e l’incremento del debito sarà inferiore a quello del Pil e dell’inflazione.
Naturalmente basterebbe che qualcosa andasse storto, come già successo in passato, perché questo trend discendente si invertisse. La fragilità dei nostri fondamentali economici è del resto alla base del primato italiano tra i beneficiari del Next Generation Eu, che nelle intenzioni della Commissione dovrebbe dare un boost alla nostra crescita e quindi favorire la contrazione del debito.
Il 1867 è l’anno della svolta, anche se durerà solo pochi anni, mentre la crescita del debito pubblico diciamo così, strutturale, è iniziato una trentina d’anni fa e non si è ancora interrotta: non è colpa della pandemia, quindi, le emissioni di Bot e Btp, che rappresentano il titoli del debito di Stato, sarebbero continuate a salire anche se in misura inferiore.
Dicevamo del 1867. l’Italia deve affrontare la crisi economica che ha investito tutta Europa alla fine dell’800. Quell’anno il rapporto tra debito pubblico e Pil raggiunge il 117% nonostante già allora, come oggi, il saldo primario (cioè la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito) fosse positivo. Ciò che non fa precipitare il rapporto debito/Pil è la crescita economica che l’Italia vive nel periodo giolittiano quando torna a scendere, di ben 30 punti percentuali, al 70%.
Ci sono stati, però, altri due picchi del debito, in corrispondenza delle due guerre mondiali. Per partecipare al primo conflitto mondiale lo sforzo fu tale che il debito salì al 160% del Pil nel 1920.
Fonte: Banca d’Italia, Istat I dati si riferiscono al periodo 1861-2021
Piero Vernigo
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