Fine della globalizzazione e del libero mercato globale
Negli ultimi anni numerosi fattori geopolitici hanno influenzato il commercio mondiale, inserendo diverse forme di frammentazione.
A parole, i principali leader politici sono prevalentemente sostenitori del libero scambio; di fatto le politiche dei governi, spesso ispirate da una potente ondata di nazionalismo e di populismo, hanno portato, ovviamente sulla base di sollecitazioni anche direttamente economiche, all’instaurarsi di vincoli e di dazi.
Il percorso di deglobalizzazione si sta sviluppando, alimentato ulteriormente dalla pandemia, dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina e dal riacutizzarsi delle tensioni fra Cina e Stati Uniti, innescato dalla crisi di Taiwan di inizio agosto.
Il conflitto armato in corso in Ucraina ormai da quasi sei mesi ha provocato da subito un insieme di meccanismi, tra sanzioni e misure di contrasto alle sanzioni, che sembrano favorire una riorganizzazione del mercato globale, articolata fra gruppi contrapposti di Paesi.
La Russia, sospinta dall’esclusione dalle transazioni del sistema SWIFT, sta cercando di riorientare il suo commercio e la sua finanza verso la Cina.
Pechino potrebbe diventare, da un punto di vista economico, polo d’attrazione di un blocco orientale in grado di coinvolgere anche altri Paesi, in primo luogo l’India, il Brasile e il Sudafrica, rivitalizzando il senso del gruppo BRICS.
L’egemonia del dollaro nel mondo finanziario non è in questo momento in discussione: né l’euro, né lo yen, né la sterlina, né il renminbi, sono in grado di interpretarne il ruolo. Il suo dominio potrebbe però essere ridimensionato.
Gli Stati Uniti hanno una forte presa sul mondo della finanza, ma l’area ‘asiatica’ può contare su un ruolo preminente nel campo delle materie prime e si può immaginare che il renminbi possa diventare in tempi abbastanza brevi una valuta più importante rispetto agli scambi globali, crescendo dall’attuale 8%.
Alcuni analisti, guardando alle attuali relazioni tra le due sponde dell’Atlantico e soprattutto alla crescente perdita di influenza dell’Europa nel mercato asiatico, arrivano a prevedere un sistema a tre, in cui l’Unione Europea giocherebbe un ruolo autonomo, in parte già sancito dal fatto che la maggior parte degli scambi europei avviene all’interno della stessa area.
Questa partizione tra aree potrebbe non essere traumatica se la separazione non sarà netta e se, pur nella salvaguardia dei reciproci interessi, prevarrà un clima di collaborazione.
Nel caso di una rottura radicale, anche a causa di persistenti tensioni geopolitiche, la divisione dei mercati potrebbe essere una fonte di instabilità strategica a livello globale.
Raimondo Adimaro
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