Siamo in recessione e rimarremo sino ad aprile 2023
L’Italia è entrata in recessione e – in assenza di interventi – vi rimarrà almeno fino ad aprile 2023.
Il Documento programmatico di Bilancio, redatto dal ministro dell’Economia Daniele Franco e approvato nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’era Draghi e inviato ieri a Bruxelles, indica l’andamento di Pil e conti a legislazione vigente, ovvero stime al netto dei programmi di politica economica che andranno indicati in un successivo aggiornamento da parte del nuovo governo dopo l’insediamento.
Il documento, in linea con la recente Nota di aggiornamento al Def, prefigura uno scenario fosco in crescendo per il pil dei prossimi mesi, indicando tre trimestri consecutivi di contrazione economica: il terzo e il quarto trimestre del 2022 ed i primi tre mesi del 2023.
Secondo il documento inviato alla Ue il Paese ne verrebbe fuori solo nel secondo trimestre del prossimo anno, dunque a partire da aprile.
Allo stesso tempo come indicato nella Nadef, la migliorata stima sul deficit apre un margine di circa 10 miliardi di risorse da spendere. Toccheranno adesso al nuovo governo le prossime mosse.
“Partendo dai dati Istat per i primi due trimestri dell’anno – si legge – le valutazioni interne più aggiornate indicano una variazione leggermente negativa del Pil nel terzo trimestre quale risultato di una contrazione congiunturale del valore aggiunto dell’industria manifatturiera e delle costruzioni, solo parzialmente compensata da un incremento dei servizi. Per il quarto trimestre, l’intervallo delle stime più aggiornate si situa intorno ad una lieve contrazione del Pil in termini reali, attribuibile in primis al settore industriale”.
“Si prevede – si aggiunge nel documento – un’ulteriore flessione del Pil nel primo trimestre 2023, che sarebbe poi seguita da una ripresa dell’attività economica a partire dal secondo trimestre, trainata da un aumento della domanda mondiale, da una discesa del prezzo del gas naturale (peraltro verso livelli ancora elevati rispetto a condizioni ‘normali’) e da un crescente apporto del Piano di Ripresa e Resilienza” al pil.
Per il resto le stime del Dpb, trasmesso ieri sera a Bruxelles, ricalcano quelle della Nadef approvata in Consiglio dei ministri il 28 settembre.
Grazie al buon andamento del primo semestre, la previsione di crescita del Pil per il 2022 sale al 3,3%, dal 3,1%, sebbene pesino la guerra in Ucraina e dell’impennata del prezzo del gas naturale, dell’energia elettrica, dei combustibili e delle materie prime alimentari.
La previsione per il 2023 scende in misura sostanziale dal 2,4% di aprile allo 0,6%; per poi segnare +1,8% nel 2024 e +1,5% nel 2025.
Come nella Nadef, a legislazione vigente il deficit 2022 si fermerà al 5,1%, cinque decimali in meno rispetto all’obiettivo del Def di aprile del 5,6%, liberando un margine di manovra di circa 9,5 miliardi di euro. L’indebitamento netto sarà pari al 3,4% nel 2023, al 3,5% nel 2024 e al 3,2% nel 2025.
Il rapporto debito/pil dovrebbe scendere dal 150,3% del 2021 al 145,4% nel 2022 (contro il 147% indicato ad aprile) e continua il calo anche nel 2023 con il tendenziale al 143,2%. La discesa proseguirebbe negli anni successivi fino ad arrivare al 139,3% nel 2025.
Il Dpb del governo dimissionario si limita allo scenario tendenziale a legislazione vigente.
Toccherà al prossimo esecutivo definire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica per il triennio 2023-2025 e, conseguentemente, ad aggiornare i contenuti prima della presentazione della legge di Bilancio.
Il testo aggiornato andrà trasmesso a Bruxelles e potrebbe modificare o meno le stime in base alla volontà o meno di fare leva sull’asticella del deficit, nonostante il tesoretto da quasi 10 miliardi lasciato in dote dal governo Draghi.
Toccherà poi a Bruxelles esaminare il Dpb aggiornato per il via libera.
Va tenuto conto però del fatto che al momento le regole del Patto di Stabilità sono sospese quindi, se mai il nuovo esecutivo mettesse mano al deficit, la Commissione dovrebbe limitarsi a moniti sui conti.
Niccolò Rejetti
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