I numeri del lavoro che i sindacati non vogliono vedere
Colpisce come il sindacato, in generale, si disinteressi all’argomento e preferisca continuare a dipingere il mercato del lavoro come un inferno di sottoccupazione e precarietà, quasi che in assenza di situazioni estreme di sofferenza sociale e miseria la ragion d’essere del sindacato venga meno.
D’altra parte i segretari delle Confederazioni hanno ben altre questioni in testa, come Maurizio Landini confida a La Stampa (3 Novembre): ”Il nostro riferimento rimane l’attuazione della Costituzione”.
Lo scrive l’economista Claudio Negro, su ‘Mercato del Lavoro’, newsletter della Fondazione Kuliscioff.
Per Negro “l’Istat ci dà una fotografia del lavoro diversa da quella scattata dai sindacati”. L’Osservatorio Istat sull’occupazione nel mese di settembre conferma senza sorprese il trend positivo ormai consolidato a partire dalla ripartenza dell’economia dopo la crisi Covid.
Crescono gli occupati sia in termini congiunturali (rispetto al mese precedente) pari a +0,2%, sia in termini tendenziali (rispetto a 12 mesi prima) pari a +1,4%.
In particolare aumentano i lavoratori dipendenti: rispettivamente +0,3% e + 1,3%, mentre calano gli autonomi in termini congiunturali (-0,3%) ma in crescita robusta in termini tendenziali (+1,7%).
Ma soprattutto, in controtendenza lampante con la vulgata corrente, crescono i dipendenti stabili rispetto a quelli a termine: i primi aumentano in termini congiunturali dello 0,5% e tendenziali del 1,4%, mentre i secondi, dopo la forte crescita dei primi mesi del dopo Covid (+0,9% negli ultimi 12 mesi) cominciano a calare significativamente (-0,6% in termini congiunturali).
Altro dato positivo, aumenta, riportandosi sul 60,2%, il tasso di occupazione, mentre decresce il tasso di inattività (-0,2% congiunturale e -0,6% tendenziale) e, particolare non frequente e molto significativo, pur aumentando il numero di coloro che cercano lavoro (calo del tasso di inattività) non aumenta il numero di coloro che non lo trovano (tasso di disoccupazione): 0 congiunturale e addirittura -1,1% negli ultimi 12 mesi.
E anche se questo trend decisamente positivo, potrebbe mutare in relazione a inflazione e guerra, è opportuno prendere atto che l’economia italiana ha saputo reagire a due crisi economiche internazionali consecutive in modo perfino sorprendente, assestandosi su indicatori mai così buoni. Il tasso di attività è stato stabilmente per i primi 9 mesi del 2022 sopra il 65%, raggiungendo i livelli record pre Covid; il tasso di occupazione è stabilmente sopra il 60%, come mai nella storia delle rilevazioni Istat.
Il numero dei lavoratori con contratto stabile da marzo supera i 15.000.000, record storico.
I contratti a termine sono 3.046.000, in moderato ma continuo calo dal mese di Febbraio: costituiscono comunque il 16% dell’occupazione dipendente, del tutto in linea con i Paesi Europei (zona Euro 15,3%).
Occorre fare delle riflessioni non strumentali o demagogiche, sul perché di risultati indubbiamente buoni sul piano dell’occupazione da parte di un’economia che soffre ancora di numerose insufficienze strutturali.
Per citare solo quelle più attigue al mercato del lavoro un sistema di istruzione-formazione lontanissimo dalla sufficienza, un mismatch altissimo, una produttività tra le ultime in Europa, un sistema di politiche attive del lavoro che produce lavoro solo per i propri impiegati.
Capire come, in condizioni così ostili, il mercato del lavoro riesca a produrre performances tutto sommato apprezzabili e studiarne i meccanismi, le pratiche, le relazioni industriali, le dinamiche e i contesti che le generano sarebbe di grande utilità per un approccio innovativo alle politiche del mercato del lavoro.
Salvarico Malleone
Commenti
I numeri del lavoro che i sindacati non vogliono vedere — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>