Prima impiccagione in Iran per le proteste contro il regime
La magistratura della repubblica islamica ha annunciato che Mohsen Shekari – arrestato nell’ambito delle manifestazioni che, da quasi tre mesi, chiedono maggiori libertà in Iran, è stato giustiziato.
Si tratta della prima esecuzione di un manifestante dall’inizio delle proteste anti-governative nel Paese, scattate a metà settembre dopo la morte, in custodia della polizia morale, di Mahsa Amini.
Come ricorda la Bbc nella sua edizione in farsi, un tribunale rivoluzionario aveva giudicato Shekari colpevole del reato di “guerra contro Dio” per aver bloccato una strada “con l’intento di creare terrore e uccidere” e aver ferito “intenzionalmente”, con un’arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij, mentre era in servizio.
Secondo la magistratura, l’imputato avrebbe confessato.
La sentenza era stata poi confermata dalla Corte Suprema.
Ad annunciare l’esecuzione è stata l’agenzia di stampa legata alla magistratura iraniana Mizan.
La notizia arriva mentre altri detenuti rischiano la pena di morte per il loro coinvolgimento nelle proteste, diventate una delle sfide più serie alla teocrazia iraniana dalla rivoluzione islamica del 1979.
Gli attivisti avvertono che anche altri manifestanti potrebbero essere presto giustiziati: sono almeno sette le persone arrestate nell’ambito delle manifestazioni e finora condannate alla pena capitale.
“Bisogna rispondere in modo forte, con misure concrete a livello internazionale, all’esecuzione di Mohsen Shekari, altrimenti dovremo affrontare esecuzioni quotidiane di manifestanti”, ha scritto Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore del gruppo di attivisti Iran Human Rights con sede a Oslo.
Shekari era stato arrestato il 25 settembre, poi condannato il 20 novembre per “moharebeh”, una parola farsi che significa “guerra contro Dio”, accusa che comporta la pena capitale.
Le autorità iraniane stanno reprimendo con violenza il movimento di protesta, iniziato con le donne che manifestavano per maggiori libertà e il rispetto dei loro diritti umani e arrivato ormai a coinvolgere anche gli uomini e diverse classi sociali uniti dalla richiesta di mettere fine al sistema stesso della Repubblica islamica.
Secondo le Ong per i diritti umani, le vittime della repressione da metà settembre sono oltre 400, di cui una sessantina minorenni.
Per il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, sono oltre 30 le persone che rischiano la stessa fine. “Avevamo messo in guardia che in Iran, insieme ai morti nelle strade, ci sarebbero stati morti sul patibolo. Un’altra trentina rischiano l’impiccagione. Cosa attende la comunità internazionale, compreso il governo italiano, a esprimere il massimo della protesta?”.
Piero Vernigo
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