In Spagna i dissalatori coprono il 56% del fabbisogno idrico
Nel 2022 l’emergenza idrica ha toccato livelli mai visti prima non solo in Italia, ma in tutta Europa, come riportano le stime dell’Osservatorio europeo sulla Siccità: ad agosto del 2022 il 60% del territorio europeo si trovava in condizioni critiche o estremamente critiche a causa della siccità.
Non è solo l’Europa ad aver vissuto, finora, un anno particolarmente siccitoso: una situazione simile si è verificata anche negli Stati Uniti, nei Paesi del Nord Africa e in Cina.
Un problema che sarà sempre più critico nei prossimi anni e viene da chiedersi cosa stia facendo l’Italia per risolverlo.
Come da consuetudine italica, se non c’è una emergenza non c’è un problema e quindi l’argomento non è tra le priorità del governo, anche se lo Stato italiano, grazie al PNRR, ha stanziato 3,9 miliardi di euro che servono sia per modernizzare la rete idrica esistente sia per nuove opere.
Purtroppo, per avviare e completare le opere occorreranno diversi anni, quando invece ai produttori servirebbero soluzioni immediate, visto lo stato di crisi oramai cronica.
Una delle opzioni ventilate dagli esperti riguarda la dissalazione dell’acqua di mare, che potrebbe assicurare acqua potabile o per irrigazione, in grandi quantità.
Facendo i conti della serva, come evidenzia un articolo di Italia Oggi (https://www.italiaoggi.it/news/siccita-si-stoppano-i-dissalatori-2567387) un impianto di desalinizzazione ha un costo di circa 15 milioni e costi annui di gestione di 500mila euro, ed è in grado di produrre circa 2,5 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno (che sarebbero sufficienti ad irrigare circa 500 ettari di meleti se si considera un consumo medio di circa 5.000 metri cubi all’anno).
In Europa il principale Paese produttore di acqua desalinizzata è la Spagna che conta attualmente ben 765 impianti di desalinizzazione attivi, che le consentono di produrre 5.000.000 di m³/giorno per approvvigionamento, irrigazione e uso industriale coprendo così il 56% del fabbisogno nazionale.
Israele è un altro stato che sta puntando con decisione alla desalinizzazione dell’acqua tanto che attualmente il 35% del fabbisogno di acqua potabile è garantito grazie a questa tecnica, con la prospettiva di arrivare al 70% entro il 2050. Israele, fra l’altro, non solo desalinizza, ma ricicla anche l’85% delle acque reflue.
In Italia l’acqua desalinizzata copre una quota pari al 4% del totale e difficilmente potrà crescere, in quanto la legge del 17 maggio 2022, n. 60, recante “Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare”, e che si occupa anche della desalinizzazione dell’acqua marina, contiene norme talmente severe per la costruzione dei dissalatori che sono assimilabili a quelle per la costruzione di una centrale nucleare, con tempi di approvazione biblici.
Da cosa è dovuta questa rigidità delle norme?
A quanto pare lo Stato italiano da enorme rilievo agli scarti del processo di desalinizzazione, ovvero, la salamoia, che se immessa tale quale nei mari, può alterarne la salinità dell’acqua in prossimità delle coste (a partire cioè da dove vengono riversate) e compromette l’ambiente marino. Infatti, la salamoia andrebbe gestita secondo un processo di smaltimento ad Hoc che può rappresentare fino al 33% dei costi operativi dell’impianto.
Apparentemente non sembrerebbero ostacoli insormontabili, come dimostra il caso della Spagna, invece in nome di un ambientalismo ideologizzato, si elimina una possibile soluzione ad un problema che sarà cruciale negli anni a venire.
Guglielmo d’Agulto
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