Dopo 30 anni di latitanza catturato il boss Messina Denaro
Con un’operazione di alta strategia militare si è chiusa l’ultima pagina di fuga dalla giustizia del capo mafia Matteo Messina Denaro da Castelvetrano.
Senza esplodere un proiettile e senza seminare panico gli uomini scelti dell’Arma hanno assicurato alla giustizia il delinquente più pericoloso d’Italia ricercato da tre decenni.
Un’operazione brillante nella quale sono stati coinvolti un centinaio di carabinieri con in testa i professionisti del ROS, Raggruppamento Operativo Speciale.
Il metodo utilizzato per incastrare Messina Denaro è stato quello “Dalla Chiesa”.
Lo ha affermato in conferenza stampa il comandante dei carabinieri, Teo Luzi.
Lo ha rivendicato il comandante dei Ros Pasquale Angelosanto che si è trovato altre volte ad arrestare latitanti di spicco: trent’ anni fa da giovane capitano mise le manette a Carmine Alfieri, all’epoca numero uno della camorra.
«Quella che non dimenticherò mai è l’ora più lunga, che è trascorsa dal momento in cui siamo entrati in azione nella clinica a quando siamo stati sicuri che si trattava proprio di Messina Denaro», ha raccontato l’alto ufficiale.
Con Matteo Messina Denaro si chiude una stagione cominciata negli anni Settanta con l’ascesa del potere corleonese. E che ha portato alle stragi. Lui era l’ultimo protagonista di quella strategia, una strategia di ferocia inaudita.
Anche il comandante dei Ros ha evidenziato il valore di un metodo ancora infallibile, quello inaugurato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che portò alla decapitazione delle Brigate rosse e che inflisse duri colpi alla Cupola.
La raccolta di tantissimi dati informativi, tanti reparti dei carabinieri sulla strada, intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative.
Ma c’è un aspetto del “motodo” sul quale insiste. Un elemento decisivo: la componente umana, lo straordinario lavoro svolto dalle donne e dagli uomini dei carabinieri che anche ieri si è rivelato decisivo.
La valorizzazione del personale è forse la lezione più importante che ha lasciato il generale Dalla Chiesa.
Altro fattore determinante è avere fatto terra bruciata intorno al latitante, scalfendo la sua rete di protezione. Un lavoro annoso.
Le indagini hanno provocato un logoramento dell’organizzazione militare e di quella economica che permetteva la latitanza, in modo da depotenziarla.
Soltanto i carabinieri hanno arrestato quasi cento persone e sequestrato beni per 150 milioni: sono colpi che ogni volta hanno obbligato la rete mafiosa a creare nuove relazioni. Guardando anche all’attività delle altre forze dell’ordine, il risultato è stato quello di renderlo più vulnerabile.
E adesso?
Le indagini sulle coperture proseguono.
La forza delle mafie consiste nella capacità di gestire relazioni esterne. Queste sono intessute con pezzi della borghesia: imprenditori, professionisti, funzionari della pubblica amministrazione.
Ma bisogna sempre tenere presente che sono rapporti personali, non con intere categorie: le generalizzazioni non aiutano le inchieste.
È un’Italia cambiata rispetto a quella delle stragi mafiose degli anni ‘90.
A Castelvetrano, il paese natio di Messina Denaro, la sera dell’arresto si sono riuniti in centinaia nella piazza cittadina per esultare sulle note dell’Inno di Mameli e applaudire i carabinieri che lo hanno catturato, in attesa che vengano scoperte le tante coperture che hanno difeso la latitanza del boss.
Piero Vernigo
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