Altri documenti riservati trovati a casa di Joe Biden
Dopo una perquisizione più approfondita fatta sabato scorso, partita da una richiesta del Dipartimento di Giustizia americano, sono stati scoperti nuovi documenti riservati a casa del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, dopo quelli già trovati durante precedenti perquisizioni nella sua abitazione di Wilmington e nei suoi ex uffici.
Si tratta di documenti classificati, che Biden avrebbe sottratto nel 2008 da senatore e nel 2017 da vicepresidente di Barack Obama.
Si tratta dello stesso reato di cui è accusato il suo predecessore, Donald Trump, che avrebbe preso intenzionalmente documenti coperti da segreto per conservarli nella sua casa di Mar-a-Lago.
La differenza tra i due è che Biden sta collaborando con le autorità, facilitando le perquisizioni, mentre Trump si era rifiutato di riconsegnare i documenti.
Vero, ma come fa notare il Wall Street Journal di ieri, il fatto che ci sia voluta una seconda perquisizione, più approfondita della prima, per trovare altro materiale che dovrebbe essere negli archivi dei palazzi istituzionali e non a casa Biden, suggerisce che probabilmente le prime ricerche non siano state del tutto agevolate dagli avvocati del presidente.
Un «atteggiamento poco serio» nei confronti di informazioni riservate, che in passato è costata la carriera a diversi politici e funzionari.
Biden però ostenta sicurezza, inizialmente forte del doppio standard con cui i media, che a suo tempo fecero a pezzi Trump parlando di democrazia in pericolo, hanno trattato la vicenda.
Lo stesso New York Times inizia a trattare il caso con imbarazzo, e la difesa (debole) della stampa liberal mondiale sta tutta nel cercare di sostenere che nel caso di The Donald ci si trova di fronte a un reato da punire, nel caso di Sleepy Joe è innocente sbadataggine.
Il Wsj sottolinea il «manifesto disprezzo di Biden verso chiunque metta in dubbio il suo comportamento o il suo giudizio», tanto che è arrivato a minimizzare il fatto che alcuni dei documenti trovati a casa sua fossero nel suo garage dicendo che lì lui parcheggia la sua Corvette, e che la saracinesca è abbassata, quindi al sicuro.
La difesa di Biden insiste sulla differenza di atteggiamento dei due nei confronti delle indagini, sperando così di minimizzare la condotta del loro assistito, che è però il vero punto della faccenda. Al momento non si conosce il contenuto dei documenti, dunque è impossibile quantificare l’eventuale minaccia alla sicurezza nazionale.
Ma è interessante – sempre a proposito di doppio standard – notare come dalla Casa Bianca non ci sia stata nessuna fuga di notizie, a differenza di quando, senza prove, sui giornali si parlava di «segreti nucleari» trafugati da Trump.
Doppio standard a parte, però, la vicenda di Biden apre un problema politico, più che criminale (al momento), per i democratici. «Non mi pento di nulla», ha detto il presidente, «sto facendo quello che gli avvocati mi dicono di fare, non c’è nulla di interessante lì».
Biden non può essere incriminato essendo presidente in carica, ricorda ancora il Wsj, ma la ricandidatura alle prossime elezioni potrebbe essere messa fortemente in dubbio se invece qualcosa di “interessante lì” spuntasse fuori.
Sempre che i Dem abbiano qualcun altro da proporre.
Riccardo Dinoves
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