A Bruxelles l’impunità regna sovrana
Molto probabilmente i componenti del clan Panzeri & Kaili erano arciconvinti di poterla fare franca con le loro valige colme di bigliettoni visto che a Bruxelles si bendano gli occhi e si tappano le orecchie, ma non avevano fatto i conti con le autorità belghe.
Purtroppo, per loro, le autorità di polizia non dormivano e li hanno nbeccati con le mani nel sacco.
Ora gli accusati nell’inchiesta sul Qatargate sono impegnati a fare i conti con la giustizia belga, e nel frattempo il Parlamento europeo cerca di capire come mai uno scandalo di questa gravità sia potuto sfuggire al sistema interno di controlli.
Le foto delle borse piene di contanti associate all’istituzione che dovrebbe vigilare sull’operato della Commissione, oltre che un danno di reputazione, rappresentano una beffa per l’Aula in prima linea nel condannare la corruzione degli altri.
E allora come ha fatto a non vedere quella che sarebbe avvenuta al suo interno?
Qualche elemento di chiarezza è arrivato dall’esterno del palazzo.
Più precisamente da Nicholas Aiossa, vicedirettore di Transparency International, ong attiva da vent’anni nella lotta alla corruzione.
L’attivista, citando la sua esperienza di ex assistente parlamentare, ha denunciato una “cultura che ha contribuito allo scandalo” durante un’audizione alla commissione sulla Ingerenze straniere dell’Eurocamera.
La sistematica violazione delle regole sulla trasparenza viene riconosciuta come l’ingrediente principale di questa ‘cultura’.
Gli eurodeputati, ad esempio, sono obbligati a dichiarare le donazioni e i viaggi pagati da terzi.
“Ma l’ondata di dichiarazioni in ritardo arrivata nell’ultimo mese” per effetto della paura di essere coinvolti nello scandalo sulle mazzette del Qatar “dimostra che i parlamentari non prendono molto sul serio queste regole”, ha fatto notare Aiossa.
Resta inoltre da capire come mai un deputato debba farsi pagare un viaggio da altre istituzioni o lobby dal momento che “i parlamentari hanno una diaria a propria disposizione, inclusa un’extra diaria se vogliono viaggiare all’estero”.
“Dovrebbero usarla”, ha suggerito l’attivista come alternativa al finanziamento delle trasferte da parte di soggetti terzi.
Un altro elemento emerso dopo gli arresti per il Qatargate è che la ong al centro dello scandalo, Fight Impunity, non è presente nel registro delle lobby.
“Va introdotto un obbligo di registrazione per tutti i rappresentanti di interessi” che vada a includere le cosiddette “ong di comodo”.
Solo così “le dichiarazioni finanziarie che queste organizzazioni”, come Fight Impunity, “non hanno fornito sarebbero state richieste”, ha detto il rappresentante di Transparency International, organizzazione presente nel registro delle lobby.
“La gran parte di queste misure possono essere introdotte unilateralmente da questa istituzione”, ha precisato Aiossa.
Nel mirino dell’attivista sono finite anche le mancate sanzioni per l’inadempimento delle norme sulla trasparenza, a partire da quelle su doni e viaggi.
“Il Parlamento ha uno dei peggiori sistemi sulle sanzioni in vigore” contraddistinto “dalla mancanza di severità” dimostrata dal fatto che “nell’ultima legislatura ci sono state 24 violazioni delle norme etiche del codice di condotta e nessuna sanzione”.
Ciò accade, ha proseguito Aiossa, “perché la possibilità e il diritto di imporre sanzioni a un membro del Parlamento spetta a chi presiede” l’istituzione.
“Per molte ragioni, incluse le considerazioni politiche, queste sanzioni non vengono usate”.
Infine vi è il tema delle scarse tutele per i whistleblower, ovvero per i funzionari o gli assistenti che denunciano i reati avvenuti all’interno dell’istituzione.
Il Parlamento, ha ricordato l’attivista, ha dato un contributo determinante alla stesura della direttiva che tutela i whistleblower, tuttavia “queste tutele non si applicano allo staff Ue” dal momento che le regole prevedono che siano “le agenzie e gli organismi Ue a fissare le loro regole” e “lo staff e gli assistenti di questo Parlamento hanno una delle peggiori protezioni dei whistleblower in tutta l’Ue”, ha precisato Aiossa.
E in effetti la possibilità di denunciare internamente le presunte condotte illecite “avrebbe potuto aiutare a prevenire la severità di questo scandalo”, ha spiegato l’attivista.
“Questo non è uno scandalo di lobby, bensì uno scandalo di corruzione e tangenti. Quindi la risposta di questa istituzione dovrebbe essere commisurata alla severità di queste condotte”, ha avvertito il vice direttore di Transparency International.
“Le quattordici misure avanzate dalla presidente Roberta Metsola e dalla Conferenza dei presidenti è un passo nella giusta direzione, ma non è abbastanza”, ha concluso.
L’auspicio è che il colabrodo della corruzione di Bruxelles venga rottamato in tempi brevi.
Guglielmo d’Agulto
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