L’Italia non è Sanremo, né Fedez e neppure Ferragni
Il nostro Paese è quello che lavora, crea e si afferma sull’intero pianeta. Quello che quotidianamente affronta problemi e cerca soluzioni.
L’Italia assolutamente non è Chiara Ferragni. E i followers non sono voti, il consenso social non è consenso politico, è quella che un tempo si chiamava “reclame” sull’aria fritta.
E il festival della Canzone italiana non è il luogo della rivendicazione dei diritti ma solo una foto sbiadita del complicato costume italico.
Al di là delle provocazioni, degli appelli, dei monologhi e della tentata politicizzazione di un palco nato per le canzoni e usato furbescamente per tentare una rivincita politica, Fedez-Ferragni hanno incassato sonore sberle a raffica.
La giovane coppia milionaria campione che sui social ha sbancato l’auditel, ha vinto la gara delle polemiche e dei like, è una sparuta e netta minoranza nel Paese.
La lezione che ci arriva dalle urne nel Lazio e in Lombardia rovescia sul dibattito pubblico una consapevolezza diversa rispetto alle ubriacature carnevalesche di Sanremo.
Il Paese reale avviluppato dalle insidie dell’inflazione, dal sali e scendi dell’occupazione e dalla precarietà assurta ormai a stile di vita condiviso, nulla ha a che vedere con l’orgiastica rappresentazione sanremese quest’anno puntata con il suo fucile milionario all’inseguimento del consenso social.
Ma confondere i like con i voti è ormai un effetto ottico che avremmo dovuto imparare a conoscere.
Lo strappo della fotografia del vice ministro Bignami in diretta tv, il bacio in bocca a Rosa Chemical, sul voto hanno influito pochissimo. Anzi nulla.
Lo spiega bene il sondaggista Renato Mannheimer poche ore dopo il voto.
“Fedez ha solo rubato il festival alla Ferragni, guadagnandone in popolarità”.
E per quanto riguarda la possibile influenza sulle votazioni regionali “se c’è stata parliamo di percentuali bassissime, 1% o al massimo 2%”.
Secondo Mannheimer, “la decisione elettorale è un processo lento e continuo. Agisce come l’amore, dato da diversi stimoli che si succedono, non come il colpo di fulmine, che in politica non c’è”.
Insomma. Non sono i diritti a essere merce rara dalle nostre parti come poteva sembrare guardando il festival senza conoscere il Paese.
Merce rara piuttosto sono i bisogni di ampi strati della popolazione che cercano protezione rispetto a un futuro mai così incerto.
La sconfitta progressista non è solo un problema di leadership ma soprattutto di risposta politica rispetto ai bisogni.
Diseguaglianze economiche territoriali, ascensori sociali scassati ormai chissà più da quanto. La rendita che supera il lavoro. La denatalità che ipoteca la speranza, la crisi climatica che batte su un territorio fragilissimo e consumato. La guerra. La crisi energetica.
Viviamo l’epoca delle crisi multiple. Delle triple emergenze.
Che i bravi analisti politici chiamano tempesta perfetta.
Il futuro non è più una felice promessa, un destino sorridente, ma soltanto una grande paura.
E chi sa rispondere in modo credibile a quella paura vince.
Il resto sono chiacchiere da Festival radical sciocc di quella gente che poche settimane fa si è regalata una supercar da sogno come la Ferrari SF90 il cui prezzo di partenza è di euro 440mila.
Claudia Treves
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