Sempre più bambini non sanno scrivere in corsivo
Sempre più bambini sin dalle elementari ricevono in regalo cellulare o roba del genere.
Archiviato da decenni, oramai, il binomio penna e calamaio ora siamo sulla strada dell’abbandono della penna “bic” e di conseguenza la scrittura manuale è sempre meno utilizzata.
La conferma ce la offre uno studio della Sapienza di Roma.
Non è morto (e molte insegnanti lo difendono con le unghie e con i denti), ma sicuramente è un malato della società di oggi, che sta rischiando pian piano di scomparire. Sempre più bimbi romani hanno una grande difficoltà a scrivere in corsivo.
A Roma uno studente su cinque alle primarie non si trova proprio a suo agio a mettere insieme le letterine con le asticelle e i puntini e a formarne parole.
È quanto emerge da un lavoro condotto nella Capitale da parte dei ricercatori del Policlinico Umberto I e dell’Università Sapienza: un gruppo di lavoro che sta monitorando da anni l’andamento della scrittura nelle classi di alcune primarie della città per scovare eventuali disturbi che i più piccoli possono avere in età scolare.
L’ultimo contributo che hanno dato alla ricerca scientifica è stato pubblicato sulla rivista Occupational therapy in health care dagli studiosi Carlo Di Brina (dirigente della Neuropsichiatria infantile dell’Umberto I), Barbara Caravale (del dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e sociale della Sapienza) e Nadia Mirante (dell’Unità di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù).
Il loro lavoro indagava un fenomeno ben preciso: la leggibilità non sempre può essere un indicatore di scarso rendimento, ma un insieme particolarmente complesso di questioni che toccano l’età dello sviluppo.
“Abbiamo fotografato come scrive la popolazione scolastica dei bambini romani. Dopo quasi due anni abbiamo visto che il 21,6% di bambini è a rischio di sviluppare un problema di scrittura. Un 10% dei bambini ha una scrittura ‘disgrafica’ – sostengono Di Brina e Caravale -. Molti bambini, troppi per essere un disturbo”.
C’è una disaffezione al corsivo perché si è più abituati allo stampatello dei computer e degli smartphone. Ma gli studiosi che hanno analizzato il fenomeno hanno notato come possa essere un campanello d’allarme per cose più serie.
«Di tutti i bambini che hanno partecipato allo studio – precisano i due ricercatori – quelli che hanno dimostrato di soffrire di disturbi specifici (come quelli legati alla coordinazione motoria o alla dislessia) si attestano intorno al 5%; i disturbi di apprendimento, invece, vanno dal 5 al 15%».
Sì lo smartphone, sì i disturbi, ma c’è anche un altro tema sul quale gli studiosi accendono i riflettori sul caso romano: il metodo di apprendimento che i bimbi seguono in classe.
La scrittura è una competenza da apprendere, ma non viene indicato con chiarezza qual è il metodo più efficace attraverso il quale questo importante strumento di comunicazione può essere appreso.
Per la lettura è assodato che il metodo di apprendimento più efficace per tutti i bambini è il metodo fono-sillabico e nella gran parte delle scuole è stato abbandonato il metodo globale, mentre per la scrittura non si è ancora aperto il dibattito educativo.
Gli studiosi hanno notato tra i tre e i quattro stili di scrittura usati per insegnare il corsivo a scuola ed evidenziano che alcuni di questi sarebbero surperflui.
Piero Vernigo
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