Negli ultimi dieci anni 300mila artigiani in meno
Ce n’eravamo accorti già da tempo, specie dopo la fine della pandemia che, però, non ne è la causa principale: numerose botteghe nelle grandi e piccole città sono ormai chiuse, le saracinesche abbassate e quelle figure di riferimento per il quartiere e migliaia di cittadini non ci sono più.
È la crisi degli artigiani con una diminuzione record negli ultimi 10 anni pari quasi a 300mila in meno (-281.925) come riportato dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre.
I motivi sono molteplici ma ristretti soprattutto ai tempi che avanzano: la grande distribuzione e il commercio tecnologico hanno impoverito un mestiere storico e così antico che affonda le sue radici nel Medioevo con lo sviluppo economico dei Comuni.
A questo si aggiunge il caro-vita che non consente più un certo tipo di guadagno e lo scarso ricambio generazionale con i giovani che, spesso, guardano in direzione di mestieri che hanno a che fare con le nuove tecnologie.
Tutte queste cause insieme spiegano l’emorragia che sta colpendo in modo particolare l’artigianayto tradizionale, quello che con la sua presenza, storia e cultura ha contrassegnato, sino a pochi decenni fa, tantissime vie delle nostre città e dei piccoli centri, sostengono gli esperti..
Il Report della Cgia spiega che il crollo ha riguardato gran parte delle province italiane con la maglia nera a Lucca che segna il 25,4% in meno di artigiani: mediamente, sul Nord-Ovest il calo è stato del 16,1% (periodo 2012-2021), Nord-Est -15,7%, Centro -15,3%, Sud -12,8% con l’unica città in controtendenza che è Napoli (+0,2%).
Non è solo una crisi di questo settore lavorativo ma anche sociale: la Cgia sottolinea come le città siano più insicure anche a causa di questo fenomeno che costituisce “uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio.
Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani”.
Tra i mestieri in via d’estinzione gli esperti sottolineano che sono sempre di meno figure come quelle degli autoriparatori (verniciatori, battilamiera, meccanici,), dei calzolai e corniciai così come dei fabbri e dei falegnami.
L’elenco della Cgia è lunghissimo: all’appello mancano anche impagliatori, lattonieri, lavasecco e materassai.
Ma non è finita qui perché diminuiscono drasticamente anche orologiai, pellettieri, restauratori, ricamatrici, chi ripara elettrodomestici ma anche migliaia di sarti, tappezzieri e tipografi in meno.
Le uniche buone notizie derivano da un tipo di artigianato 2.0 che vede l’implementazione di figure che lavorano nell’ambito del benessere e dell’informatica: nel primo caso sono in aumento gli acconciatori così come estetisti, massaggiatori e tatuatori; per quanto riguarda il mondo tech, si trovano più sistemisti, addetti al web marketing, video maker ed esperti in social mediaPurtroppo, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico, con il risultato che la platea degli artigiani è in costante calo”. denuncia la Cgia che auspica la tutela dell’artigianato chiamando in causa l’Art. 45 della Costituzione.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia, “non è da escludere che per evitare la desertificazione delle botteghe in atto soprattutto nei centri storici, fra qualche decennio lo Stato dovrà sostenere con finanziamenti diretti coloro che vorranno aprire una attività artigianale o commerciale”.
Riccardo Dinoves
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