A proposito della futura carne tecnologica
La nostra specie di Homo sapiens o Cro-Magnon, forse non nella misura dell’altra specie nostra cugina di Neanderthal con la quale ci siamo ibridati, è carnivorana e tale rimarrà nel futuro, un’affermazione che merita alcune precisazioni, partendo dall’idea che quanto più conosciamo il passato tanto più possiamo prefigurare il futuro.
Senza andare alle società che ci hanno preceduto fino alle bande di cacciatori – raccoglitori conviene risalire ancora più indietro e dare sguardo alle scimmie per accorgersi quanto anche questi animali siano carnivorani, iniziando dalle scimmie non antropomorfe di taglia piuttosto ridotta che piuttosto che di selvaggina vanno a caccia di insetti, nulla di nuovo quindi.
Molte altre specie che vivono nelle foreste e ritenute frugivore sono invece anche carnivorane perché vanno alla ricerca dei frutti abitati dai vermi.
Altre specie di scimmie mangiano le parti dei frutti invasi da larve e sputano vie parti sane o prediligono i frutti con evidenti segni di decomposizione per azione di insetti.
Molte sono le specie di scimmie che cercano la selvaggina di piccola taglia e tra queste i babbuini sono accaniti cacciatori di vertebrati di piccola taglia come i quali i cuccioli di gazzelle e antilopi, e queste scimmie preferiscono in primo luogo nutrirsi di carne di animali e di insetti, in secondo luogo di radici, semi, frutti e fiori e in terzo luogo, di foglie e erba.
Tra i primati non umani mangiatori di carne gli scimpanzé, i nostri parenti più prossimi nel regno animale, sono abili e appassionati cacciatori e in libertà trascorrono circa il dieci per cento del loro tempo cacciando piccoli mammiferi: giovani babbuini e altre specie di scimmie, porcospini, conigli e altri animali.
L’essere carnivorani fa quindi parte del cespuglio evolutivo dal quale proveniamo e che in noi è presente e ineliminabile nella conformazione anatomica e funzionale dell’apparato digerente, nel nostro metabolismo e soprattutto nei nostri comportamenti che si manifestano nella “fame di carne” che ci caratterizza.
Questa “fame specifica” in modo inequivocabile si manifesta negli aumenti dei consumi di questo alimento ogni qual volta ve ne sia la possibilità per disponibilità economica e con le regole imposte dalle diverse società umane.
Già Marvin Harris (1927 – 2001) si è posto la questione sull’origine di questo comportamento che non può essere casuale e presente in numerosissimi se non tutti i gruppi umani e presso i cugini primati e che ha la sua più plausibile spiegazione nella nostra anatomia, fisiologia e processo digestivo che predispongono alla preferenza per i cibi di origine animale che presentano caratteristiche particolari che li rendono estremamente nutrienti.
In primo luogo il fatto che gli alimenti d’origine animale cotti – un procedimento che è fatto risalire a ominidi che ci hanno preceduto e a quasi ottocentomila anni fa – sono una fonte di proteine più ricca della maggior parte dei cibi di origine vegetale.
In secondo luogo negli alimenti d’origine animale più elevato è rapporto tra loro peso e le proteine e che quelle di origine animale, salvo un paio di eccezioni, hanno una qualità superiore a quelle di origine vegetale.
Inoltre in molti alimenti d’origine animale vi sono più grassi ricchi d’energia che sono scarsi e rari negli alimenti naturali d’origine vegetale, più ricchi invece di amidi.
Per questo i veri vegetariani, i vegani, sono pochissimi più che pochi e non a caso si contrappongono alla generale propensione per i cibi di origine animale un po’ come i digiuni dello stilita e pratiche del genere che non trovano molto seguito popolare e sono inoltre di breve durata.
Una indiretta dimostrazione, ma non per questa di scarso valore per comprendere l’importanza della carne nell’alimentazione umana, sta nelle regole sociali che hanno anche sia pur limitate tracce in specie animali dove il suo consumo segue spesso dettami gerarchici.
Regole e divieti che riguardano solo le carni, salvo qualche caso più unico che raro, come l’ancora misterioso tabù delle fave dei pitagorici. Inoltre nessuna grande religione ha mai obbligato i propri seguaci a simili pratiche vegetariane, né ha del resto mai bandito del tutto il consumo di uova e carne animale dalla dieta del comune fedele, mentre diverse religioni hanno riti di consumi di carni o sangue, reali, simboliche o misteri della fede.
Per questo è stato sottolineato che meno dell’uno per cento della popolazione mondiale si astiene volontariamente da qualsiasi tipo di cibo di origine animale e che meno della decima parte di questo uno per cento può considerarsi genuinamente e strettamente vegetariano.
L’astinenza dalla carne è invece imposta dalle circostanze molto più che praticata per scelta, e caratterizza i modelli alimentari relativi ai cibi di origine animale dei popoli scarsamente sviluppati.
Una conferma di questo si ha nel fatto che in tutte le società, sviluppate e sottosviluppate, l’aumento di prodotti alimentari di origine animale nella dieta è direttamente proporzionale all’aumento del reddito e che i gruppi ad alto reddito traggono proteine, grassi e calorie da fonte animale molto di più di quanto non facciano i gruppi a basso reddito.
In proporzione al reddito, le calorie derivate da grassi animali sostituiscono le calorie derivate da proteine vegetali e i carboidrati amidacei, mentre le calorie derivate da proteine animali sostituiscono le calorie derivate da proteine vegetali.
Tutte queste convergenze di carattere culturale, sociale e economico confermano la tesi secondo la quale il cibo di origine animale ha un insopprimibile ruolo particolare e specifico nella nutrizione biologica e culturale della nostra specie che sembra anche discendere da una lunga catena di animali «affamati di carne» permettendo di concludere che siamo e rimarremo carnivorani, mentre vegetariani si diventa.
Ma quale tipo di carne?
Come i nostri più lontani predecessori, anche la nostra specie per più del novanta per cento della sua presenza sulla terra si è nutrita di carne e altri alimenti d’origine animale (uova e forse latte) “selvaggi”.
In tempi biologici recentissimi l’uomo è passato ad alimentarsi di carni e alimenti d’origine animale “tecnologici”, prodotti cioè da animali modificati con le sue tecniche di selezione, allevamento, alimentazione, con cambiamenti che, come fa intuire lo scontro biblico tra il pastore Abele e l’agricoltore Caino, hanno suscitato e continuano ancora a sollevare dubbi e discussioni e come dimostrano gli attuali, spesso accesi dibattiti su un controllo nell’alimentazione carnea, obiettivo peraltro di scarso se non completo insuccesso nel passato.
Oggi stiamo vedendo la possibilità di soddisfare la nostra “fame di carne” producendo “carni sintetiche” prodotte da nuove e più avanzate tecnologie.
Carni di tecnologie sintetiche sulle quali non dobbiamo stupirci che vi siano dibattiti estremamente accesi, anche se non cruenti come quello biblico del precedente passaggio dal selvaggio al tecnologico, e per il quale saranno forse necessari i tempi di due o tre e più generazioni, se non saremo costretti a ridurli dal cambiamento climatico che abbiamo sconsideratamente provocato.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Italiana della Cucina
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