Presentato il Rapporto Annuale 2023 Istat
Secondo quanto emerge dal Rapporto Annuale 2023 dell’ISTAT, presentato a Montecitorio, nel 2022 l’Italia ha segnato una crescita del Pil pari a +3,7%, inferiore, tra le maggiori economie, solo a quella della Spagna (+5,5%).
L’aumento dell’attività economica in Francia e Germania è stato, invece, rispettivamente, pari a +2,5% e +1,8%.
La crescita del Pil dell’Italia nel 2022 è stata sostenuta, come nel 2021, dai consumi delle famiglie residenti e dagli investimenti fissi lordi, mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo negativo.
La spesa delle famiglie ha accelerato rispetto all’anno precedente (+5,5% nel 2022 rispetto al +4,9% del 2021), mentre la spesa per investimenti è aumentata del 9,4%, raggiungendo una quota sul Pil pari al 21,5%, il valore più elevato dell’ultimo decennio.
Ma a sostenere maggiormente i consumi è stato certamente l’incremento degli investimenti in costruzioni, particolarmente alto (+10,3% quelli in abitazioni e +12,9% quelli in fabbricati non residenziali e altre opere), stimolato dalle misure agevolative volte alla riqualificazione del patrimonio edilizio, così come quello in impianti, macchinari e armamenti (+8,6%).
Più modesto è stato invece l’aumento degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (+4,5%), seppure in accelerazione rispetto all’anno precedente (+1,4%).
Il Pil in Italia è cresciuto nel 2022 in misura più elevata nel Nord-est (+4,2%) e nel Centro (4,1%) mentre la crescita e stata più moderata nel Mezzogiorno (+3,5%) e nel Nord-ovest (+3,1%).
La pandemia ha avuto un impatto negativo soprattutto sul sistema produttivo del Centro-Nord, ma la performance di Sud e Isole nello stesso periodo è risultata comunque piuttosto modesta.
Nel 2021 il differenziale di Pil del Mezzogiorno con il resto del Paese è tornato vicino ai valori più elevati toccati nel 2019 (-14,9mila euro).
Nel 2022, l’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IPCA) è cresciuto in media dell’8,7%, come in Germania e più che in Francia e Spagna (5,9% e 8,3% rispettivamente).
Nei primi mesi del 2023, il deciso rallentamento del prezzo delle materie prime e in particolare dei listini europei del gas ha determinato un rallentamento della crescita dei prezzi al consumo.
A giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua.
La decelerazione del tasso di inflazione è determinata dal rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +20,3% a +8,4%).
Nello stesso mese, l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è in rallentamento ma risulta ancora elevata (+5,6%).
Il tasso di inflazione del nostro Paese si è, tuttavia, mantenuto al di sopra di quello medio dell’area euro a partire dal quarto trimestre 2022. Il divario si è però ridotto: è sceso a 1,9 punti percentuali a maggio, a fronte di un differenziale di 3,1 a dicembre dello scorso anno.
Nel corso del 2022 il numero di occupati è cresciuto del 2,4% (+545mila unità) facendo registrare un aumento di molto superiore rispetto a quello osservato nel 2021 (+0,7% pari a 167mila unità).
Tale aumento ha pienamente compensato il crollo occupazionale registrato nel 2020 riportando nuovamente l’occupazione ai livelli del 2019, ma rimane comunque inferiore a quelli conseguiti dai principali paesi europei e dell’UE27 nel complesso.
Il tasso di occupazione di 15-64enni è salito nel 2022 al 60,1% (+1,9 punti percentuali in un anno), collocandosi al di sopra di quello osservato nel 2019.
Si registra inoltre un forte calo del numero di persone in cerca d’occupazione (-339 mila unità) rispetto all’anno precedente.
Il numero di inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ridottosi già nel corso del 2021, è calato ancora (-484mila unità) scendendo sotto il livello precrisi.
Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni) risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno.
Nel primo quadrimestre 2023 le nascite (118mila) continuano a diminuire: -1,1% sul 2022, -10,7% sul 2019.
Per quanto riguarda i decessi si assiste a una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019.
Al 31 dicembre 2022, la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717 unità (-179.416 rispetto all’inizio dello stesso anno, -3,0 per mille); tale calo presenta, tuttavia, un’intensità minore, sia rispetto a quello osservato nel 2021 (-3,5 per mille), sia a quello del 2020 (-6,8 per mille), tornando a livelli simili al periodo pre-pandemico (-2,9 per mille nell’anno 2019).
Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila) e per l’elevato numero di decessi (713mila).
Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo.
Il saldo naturale è diminuito in modo progressivo nel corso del tempo, toccando il minimo nel biennio 2020-2021, quando si è registrata una riduzione di oltre 300mila individui in media annua.
A questo si aggiunge, nel 2022, un ulteriore decremento di 321mila unità, che porta quindi, in soli tre anni, alla perdita di quasi un milione di persone (957mila unità).
Il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno) dipende per l’80% dal cosiddetto “effetto struttura”, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20% è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022.
Le preoccupazioni ambientali si declinano differentemente per classe di età.
I giovani fino a 34 anni sono più sensibili alla perdita della biodiversità (32,1% tra i 14 e i 34 anni contro 20,9% degli over 55), alla distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e l’esaurimento delle risorse naturali (24,7% contro 15,9%).
Gli ultracinquantenni si dichiarano, invece, più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (26,3% contro 17,0% degli under 35) e l’inquinamento del suolo (23,7% contro 20,8%).
Le giovani donne sono più preoccupate per le principali problematiche ambientali rispetto ai coetanei (66,4% delle 14-24enni, contro il 57,9% dei coetanei).
La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, ha portato ad una minore disponibilità media annua della risorsa idrica, che nel trentennio 1991-2020 si riduce del 20% rispetto alla media del trentennio 1921-1950, raggiungendo nel 2022 il suo minimo storico, quasi il 50% in meno rispetto all’ultimo trentennio 1991-2020.
A tale problema si associa una condizione di persistente criticità nell’infrastruttura idrica, infatti, nel 2020, il 42,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali.
La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione del settore agricolo.
Il calo dei volumi di produzione nel 2022 ha caratterizzato tutti i comparti produttivi tranne quelli frutticolo, florovivaistico e le attività secondarie; in flessione coltivazioni (-2,5% in volume), legumi (-17,5%), olio d’oliva (-14,6%), cereali (-13,2%), piante foraggere (-9,9%), ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%).
Nel 2021, rallentano i progressi nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani (64,0%, in aumento di un punto percentuale rispetto al 2020), che cresceva in media del 2,9 nel triennio precedente all’anno della pandemia, non riuscendo a raggiungere il target nazionale del 65% fissato per il 2012.
Nel 2020, l’Italia raggiunge il 51,4% di riciclo dei rifiuti urbani, superando la media Ue27 (49,2%) e posizionandosi tra i primi sette paesi.
Dal lato dello smaltimento, nel 2021 continua a diminuire la percentuale di rifiuti urbani conferiti in discarica (19%), con una riduzione di due terzi rispetto al valore del 2004 (59,8%) e con forti criticità nella distribuzione territoriale degli smaltimenti.
L’Italia è stata uno dei paesi più colpiti dagli aumenti dei prezzi energetici, in particolare per quanto riguarda l’energia elettrica: il prezzo per uso domestico, che nel secondo semestre 2020 era più basso di quello di Germania e Spagna, ha subito nell’arco di due anni un incremento così ampio (+72,4%) da diventare il più alto tra le maggiori economie europee.
L’impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa: l’inflazione misurata dall’indice IPCA relativa ai beni energetici per le famiglie con i livelli di spesa più bassi è stata superiore di oltre 13 punti a quella registrata per le famiglie con i livelli di spesa più alti (rispettivamente, +60,6% e +47,5%).
Le medie e le grandi imprese manifatturiere italiane mostrano nel 2020 livelli di produttività (72,5mila e 85mila), superiori alla Francia (62,5mila e 82,9mila), mentre le piccole imprese manifatturiere (20-49 addetti) sono più produttive di quelle tedesche (55,1mila rispetto a 52,3mila). Inoltre, mentre le piccole e medie imprese italiane risultano maggiormente orientate all’export delle stesse tipologie di imprese residenti nelle maggiori economie dell’Ue27.
Le grandi imprese italiane manifatturiere presentano una propensione all’export inferiore a quelle degli altri paesi europei considerati (48,8% contro 85,5% della Germania e 80% della Francia).
Lo afferma il Rapporto Annuale 2023 dell’ISTAT presentato a Montecitorio.
Riccardo Dinoves
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