La cucina perde la propria identità con la globalizzazione
In modo molto schematico si poteva ritenere che nel passato esistessero due grandi aree di cultura culinaria di cui abbiamo un’ampia documentazione: l’area mediterranea e l’area cinese-nipponica.
Poco note, perché scarsamente studiate, vi erano le aree di cultura europee settentrionali e orientali, arabe, delle Americhe precolombiane, del continente africano e asiatico e del Pacifico.
Nell’ambito di ciascuna di queste aree fin dal passato sono avvenuti scambi, contaminazioni e ibridazioni, che in una certa misura non sono anche mancati tra alcune di loro come quelli avvenuti nel medioevo tra le culture culinarie mediterranee con quelle arabe verso est e germaniche verso il settentrione.
In questo XXI secolo scambi, contaminazioni e ibridazioni assumono dimensioni e ruoli planetari in una globalizzazione nella quale la crescente interconnessione di regioni diverse del mondo genera forme complesse di interazione, interdipendenza, ibridazione, omogeneizzazione.
A volte scontro e più frequentemente imperialismo culturale, americanizzazione, occidentalizzazione e in alimentazione fenomeni particolari come quelli della mcdonaldizzazione e della cocacolonizzazione, ma soprattutto di creolizzazione.
Come rilevato da Alberto Capatti e Massimo Montanari (Capatti A., Montanari M. – “La Cucina Italiana. Storia di una cultura” – Laterza, 1999) per la cucina del passato lo scambio, la circolazione di usanze alimentari, di conoscenze gastronomiche e di pratiche di cucina non avvengono in virtù di una qualche omogeneità delle culture locali, ciascuna delle quali mantiene una sua specifica connotazione e diversità, ma a partire dalla loro diversità.
In questo modo la cucina si rivela come il luogo per eccellenza dello scambio e della contaminazione più che dell’origine.
Se un prodotto può essere espressione di un territorio, il suo uso in una ricetta o in un menù è quasi sempre il frutto di un’ibridazione.
Questo fenomeno non è certamente nuovo, come dimostrano le spezie asiatiche che fin dal periodo romano contaminano l’alta cucina mediterranea, ma oggi scambi, contaminazioni e ibridazioni sono un fenomeno mondiale d’interazione creativa, dai cinesi che mangiano mediterraneo agli italiani che mangiano asiatico, dando anche origine a fenomeni quali la creolizzazione e al sounding alimentare.
Creolizzazione è un processo di ibridazione e semplificazione quando una lingua o un comportamento emerge come risultato del contatto che esisteva tra culture differenti, dando vita a nuove identità e culture diverse dalle culture originali delle varie comunità, portando all’arricchimento delle culture ma anche alla perdita di pratiche culturali che hanno identificato in modo univoco le persone in passato.
Le culture creole sono il prodotto di incontri culturali multidimensionali da cui possono uscire nuove combinazioni di elementi e sempre più oggi le troviamo nella lingua, musica, religione e altro, interessando anche le tradizioni del cibo, gli stili di cottura degli alimenti e la cucina.
In queste ultime aree esempi di creolizzazione riguardano la pizza che uscita dall’ambiente culturale napoletano prima in Italia poi nel mondo è divenuta un alimento di creolizzazione assumendo anche nuove caratteristiche di tipicità locale, come dimostrano le trenta tipologie di pizze italiane e le cinquanta tipologie di quelle americane, circa quanti sono gli stati dell’Unione, perché la tipicità sempre più corrisponde alle tecniche di produzione e sempre meno all’origine geografica delle materie prime (Capatti e Montanari, 1999).
I processi di creolizzazione nascono e si sviluppano da movimenti reciproci e da interazioni creative di diversità, interconnessione e innovazione caratterizzate dal confluire di diversi elementi tra i quali sono da citare, per l’odierna cucina italiana, le sempre più vaste conoscenze che gli italiani hanno delle cucine degli altri paesi del mondo attraverso il turismo e i media, gli stranieri viventi in Italia (cinque milioni, l’8,5% della popolazione – anno 2022) e tra questi soprattutto il quasi il mezzo milione di badanti che cucinano nelle case italiane.
A questi elementi sono da aggiungere i flussi migratori verso le città, la rapida e capillare circolazione delle merci nel mercato globale con la moltiplicazione della varietà e quantità sui banchi di vendita di prodotti alimentari provenienti da ogni parte del mondo e la diffusione di ristoranti e gastronomie di cucine extraeuropee.
Tutto questo dà via a processi di scambio, di contaminazione, di mescolamento di nuovi prodotti e abitudini alimentari e quindi a una creolizzazione della cucina italiana che sempre più si vede nei luoghi di mangiare frequentati dai giovani e dai sempre più frequenti “diversamente giovani” nei quali il cliente è invitato a realizzare vivande “incrociate” italo-messicane, italo-indonesiane e altre.
Il sounding consiste nella produzione, commercializzazione e uso di alimenti, ricette o prodotti alimentari che hanno nomi, forme o altri aspetti che richiamano quelli di altre culture culinarie inducendo più o meno ingannevolmente a credere che si tratti di prodotti originari.
Un fenomeno antico ed estremamente diffuso come dimostra l’esempio del peperoncino importato dalle Americhe e prodotto in Italia e così chiamato e usato per imitazione (sounding) del pepe asiatico.
Allo stesso modo la mozzarella napoletana viene imitata in America per la pizza (Pizza Cheese o Mozzarella LM, low moisture) a sua volta imitata in Italia come Fior di Latte.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Italiana della Cucina
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