Il miracolo del locomotore Italia prosegue
Dopo aver contribuito con una crescita del 14,1% del suo valore aggiunto alla ripresa economica del 2021, l’industria manifatturiera italiana nel 2022 è aumentata ancora dello 0,3%.
A questo aggiunge la crescita del Pil dello 0,6% nel primo trimestre 2023: più di Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti.
Nel 2022 l’export manifatturiero ha visto il record di 594 miliardi sul totale di 625 miliardi.
Un nuovo piccolo miracolo economico reso possibile dalla reattività e competitività della nostra manifattura.
Il governo Meloni dovrebbe compiere uno sforzo per far passare, a livello europeo, il principio per cui gli investimenti strategici per il Paese non siano sottoposti al patto di stabilità.
Un esempio è il comparto della sanità, uno dei molteplici settori in cui i nostri territori rappresentano un’eccellenza del modello di collaborazione tra pubblico e privato.
Altro nodo è il costo del lavoro che in Italia è tra i più alti a livello internazionale.
Siamo al quinto posto dopo Belgio, Germania, Austria e Francia. È quindi fondamentale che, nella prossima Legge di Bilancio, vengano trovate le risorse per un intervento shock sul cuneo fiscale di 16 miliardi e per una flat tax giovani che ricalchi per gli under 35 neoassunti lo stesso identico modello applicato, oggi, ai professionisti e alle imprese individuali con ricavi non superiori a 85mila euro.
Queste misure sono ancora più urgenti se guardiamo al problema dell’inverno demografico, che nel 2070 brucerà un terzo del Pil
In riferimento al Pnrr troviamo una miriade di rivoli di spesa, secondo una cattiva abitudine italiana volta alla perenne ricerca del consenso politico sul territorio e di una moltitudine di stazioni appaltanti, tra cui anche tanti piccoli comuni senza organizzazione tecnica.
.Spetta al governo il compito di trovare una soluzione per rivedere il piano da concordare con l’Europa.
Si potrebbero trasferire le risorse che non di riescono a scaricare a terra nello stesso strumento usato dall’Ira americano: i crediti d’imposta alle imprese.
Di fatto è lo stesso modello alla base di Industria 4.0, l’unico vero piano di politica industriale degli ultimi anni che ha dato una svolta epocale in termini di competitività.
Abbiamo una responsabilità nei confronti di tutta l’Unione: se il debito comune europeo continuerà a essere emesso dipenderà soprattutto da noi.
L’attuazione del Pnrr è uno spartiacque: vanifica o, al contrario, concretizza le ambizioni dell’Europa che vogliamo.
Energia, innovazione, lavoro, infrastrutture e governance territoriale sono le cinque priorità per sostenere le imprese.
Per quanto riguarda l’energia il Governo italiano dovrebbe sostenere la capacità delle nostre imprese che competono in Europa e nel mondo. È necessario puntare sul nucleare pulito e sicuro di ultima generazione.
Per l’innovazione serve rafforzare Industria 4.0, ripristinare Patent Box e presentare una strategia nazionale per l’idrogeno.
Circa il lavoro occorre agire sul taglio strutturale del cuneo fiscale e su una flat tax per i giovani.
Per le infrastrutture è necessario di ultimare, tra le tante opere, la Pedemontana e ampliare Malpensa.
E infine sulla governance territoriale occorre completare la riforma di Città Metropolitana e dare il via all’autonomia regionale differenziata.
Per transizione ecologica serve fondo sovrano comunitario, è del tutto irragionevole l’accelerazione ambientale impressa dalla Commissione Europea, che sta dimostrando di voler scaricare sulle imprese i costi della transizione ecologica.
Di fatto, l’Europa è l’unica tra le grandi aree del pianeta ad aver vietato dal 2035 la produzione di auto a combustione interna. Per ridurre le emissioni ha scelto di puntare tutto sull’elettrico, anziché farlo anche attraverso l’uso di altri combustibili come biocarburanti, carburanti sintetici, e l’idrogeno, di cui proprio il nostro territorio è attore all’avanguardia.
L’Europa possiede le tecnologie industriali energeticamente più efficienti e le maggiori capacità di riciclo.
Si prenda anche il caso dell’acciaio, settore in cui l’Europa e soprattutto il nostro territorio possiedono le più moderne tecnologie con ridotte emissioni e un elevato tasso di riutilizzo di rottami.
Ridurre le emissioni è un bene pubblico, ma per poterlo fare nei modi e nei tempi imposti da Bruxelles servono strumenti finanziari comunitari adeguati.
L’Unione Europea dimostri solidarietà e spirito comunitario anche nei confronti della transizione ecologica, sfida globale raggiungibile solo se giocata sul piano europeo.
I dati della banca mondiale mostrano che la produzione manifatturiera europea senza l’Italia sarebbe inferiore rispetto a quella americana di oltre 280 miliardi di dollari e senza la Francia lo sarebbe di 230 miliardi.
Questo conferma che l’industria europea è una squadra fatta di tante manifatture nazionali profondamente connesse tra loro. Alla vigilia delle nuove importanti sfide per l’industria mondiale, l’Europa sembra però non avere ancora una precisa strategia unitaria.
L’Italia è la seconda manifattura d’Europa.
Siamo quinti al mondo per il più elevato surplus commerciale con l’estero (esclusa l’energia).
L’export della Lombardia nel 2022 è stato di 163 miliardi di euro. Uno dei più importanti d’Europa, pari a oltre due volte quello della Finlandia o del Portogallo.
Un export dove le imprese di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia sono autentiche protagoniste. E ancora, il monte salari generato dalla manifattura lombarda è pari a 28 miliardi di euro, cioè oltre 1/4 di quello dell’intera industria manifatturiera italiana.
Nettamente superiore a quello delle manifatture di intere nazioni come la Svezia, il Belgio o la Danimarca.
Questa regione ha la forza di uno Stato intero: la politica ha la responsabilità di esserne pienamente consapevole. È da qui, infatti, che passa e si costruisce il futuro e la forza dell’economia.
La nostra industria manifatturiera possiede migliaia di campioni che operano con successo a livello internazionale in segmenti altamente specializzati della nostra manifattura.
Secondo i dati di una ricerca inedita svolta da Fondazione Edison, quasi l’80% dell’export manifatturiero italiano viene realizzato da imprese medie, medio-grandi e grandi con un numero di occupati che va da 50 a un massimo di 4.999 addetti. Queste imprese sono in totale 9mila. A queste si aggiungono altre 27mila piccole imprese con un numero di addetti che va da 10 a 49, che coprono un restante 13%.
Le imprese con più di 5mila addetti, invece, sono 13 e pesano per meno del 7% dell’export. Il nostro Paese, insomma, non è né penalizzato dalla mancanza di grandi gruppi industriali, né tanto meno schiacciato su imprese di piccole dimensioni.
È proprio la taglia delle nostre imprese, infatti, che ci permette di essere leader a livello internazionale in quei segmenti produttivi in cui qualità, innovazione e flessibilità costituiscono fattori competitivi.
Dobbiamo essere profondamente orgogliosi del nostro modello manifatturiero, spesso accusato ingiustamente di fare pochi investimenti, di essere poco tecnologico, di non essere sufficientemente competitivo e di essere, perciò, inadatto a competere nella sempre più dura arena del mercato globale. Niente di più lontano dalla realtà.
Ci aspettavamo che ci fosse un rialzo dei tassi d’interesse. Ma deve essere un rialzo controllato e non bisogna che ci sia un aumento eccessivo.
Fino al 3,5% al massimo è sostenibile, oltre scoraggia le imprese a chiedere finanziamenti per fare investimenti.
Se i tassi crescono troppo c’è il rischio che si posticipino gli investimenti.
È importante che ci sia un minimo livello salariale. Ma questo deve passare attraverso la contrattazione e non con una legge.
Tutti i contratti di Confindustria sono superiori ai minimi e gli altri devono adeguarsi.
Decidere un salario minimo per legge potrebbe creare delle distorsioni.
La strada sul lavoro deve essere unica e cioè quella delle contrattazioni.
Arnaud Daniels
Commenti
Il miracolo del locomotore Italia prosegue — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>