Illusori vantaggi dello smart working, si torna in ufficio
La pandemia per diversi mesi ha stravolto abitudini decennali lavorative introducendo lo smart working, ossia lavoro agile che può essere svolto anche nel proprio domicilio.
Dopo l’entusiasmo iniziale si è compreso che non sono tutte rose e fiori sia per il dipendente che per il datore di lavoro.
Nel mondo corporate è in corso una migrazione inversa. Le aziende di Wall Street sono state tra le più decise a riconvocare i lavoratori in ufficio. Negli ultimi mesi, però, anche molti titani della tecnologia, come Apple, Google e Meta, hanno chiesto ai loro dipendenti di presentarsi in sede almeno tre volte a settimana.
Alla fine l’utopia libertaria dell’abbattimento degli uffici, foraggiata durante la pandemia da una serie di studi e ricerche, sembra ridursi a nient’altro che questo: un’utopia. Le aziende si sono accorte che gli aumenti di produttività che quegli studi suggerivano erano troppo ottimistici. La verità è che l’ufficio serve.
Eppure all’inizio non sembrava così. Nel 2020, in piena pandemia, due dottorande di Harvard pubblicarono un articolo sul rendimento dei lavoratori di call center assunti da un grande rivenditore online. Veniva preso in esame il periodo tra gennaio 2018 e agosto 2020.
Lo studio fece molta impressione perché riscontrò una crescita dell’8% del numero di chiamate gestite ogni ora dai dipendenti che si erano spostati dagli uffici alle case. Come prova dei benefici del lavoro remoto era citato spesso anche uno studio di Nicholas Bloom, professore di economia a Stanford.
Dalle ricerche di Bloom, che analizzavano un migliaio di lavoratori di un’agenzia di viaggi cinese, veniva fuori che i dipendenti in remoto erano il 13% più efficienti dei loro colleghi in ufficio.
C’è però un dettaglio cruciale che, all’inizio, è stato sottovalutato. La produttività, secondo il professor Bloom, aumentava a due condizioni: che il lavoro da casa fosse volontario e che alla fine della settimana ci si ritrovasse comunque in ufficio a discutere di nuovi progetti attorno a un vero tavolo, non in una conferenza su Zoom.
A maggio, con buona pace della tecno-utopia del lavoro remoto, è stata pubblicata dalla Federal Reserve di New York una versione rivista dell’articolo delle ricercatrici di Harvard, Natalia Emanuel ed Emma Harrington.
Secondo questa nuova versione, la presunta spinta all’efficienza dei lavoratori casalinghi si era trasformata in un calo della produttività del 4%.
Nel 2022 anche il professor Bloom ha aggiornato le sue ricerche sulla società di viaggi cinese.
L’ha visitata di nuovo, questa volta per indagare gli effetti di una sperimentazione sul lavoro ibrido. Questi i risultati: un impatto trascurabile sulla produttività. Poi Bloom si è accorto anche che i dipendenti in ufficio avevano giornate di lavoro più lunghe e i programmatori scrivevano di più.
È anche vero, però, che non si può tornare indietro. Il lavoro ibrido è qui per restare. Secondo Bloom, la massiccia crescita del numero di persone che lavorano da casa potrebbe essere il più grande cambiamento nell’economia statunitense dalla Seconda guerra mondiale.
Oggi il 30% della forza lavoro americana è impiegata in modo ibrido, cioè qualche giorno la settimana in ufficio, il resto da casa. Semplicemente perché svincolarsi ogni tanto dall’ufficio migliora la vita.
Il Covid in alcuni paesi, e soprattutto negli Stati Uniti, ha dato più potere negoziale ai lavoratori. La piacevolezza di stare a casa un paio di volte a settimana. La nuotata o la corsa mattutina, la spesa, recuperare i figli a scuola, l’appuntamento col dentista.
Grazie al lavoro ibrido le persone trascorrono meno tempo in viaggio, in metropolitana, in treno e macchina.
Del resto, per innovare bisogna comunicare e contaminare. Pensiamo alla nostra storia: lo sviluppo del capitalismo in Occidente è andato di pari passo con la crescita delle città e del numero di persone che si scambiavano idee in spazi pubblici o quasi pubblici. È questa mescolanza che favorisce la creatività.
Così, anche nel dopo pandemia, gli uffici mantengono il loro ruolo, magari reinterpretati come centro di scambio, di marketing, di condivisione di idee, come luoghi che esprimono l’identità del brand.
I funzionari intervistati in uno studio della Federal Reserve hanno detto che la lontananza fisica dei loro colleghi è stata un ostacolo. Ovvio: quando c’è qualcuno nella stanza accanto, è molto più naturale chiedergli aiuto o assistenza e imparare da lui.
La teleconferenza è una pallida imitazione delle riunioni in carne e ossa.
Alcuni dei costi di coordinamento del lavoro a distanza potranno anche diminuire. Ci si abitua e si diventa bravi, col tempo, a usare Zoom e Microsoft Teams.
Ma c’è un costo che non può essere abbattuto, ricorda l’Economist, cioè il mancato sviluppo del capitale umano. Esaminando un gruppo di ingegneri informatici, uno studio di Harvard ha scoperto che il feedback scambiato tra colleghi è diminuito di molto dopo il passaggio al lavoro a distanza.
Due ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno documentato un calo di apprendimento tra i lavoratori in remoto: chi sta negli uffici impara più in fretta.
Resta il fatto che le aziende tenteranno gradualmente di togliere dalle case i loro dipendenti, spostando l’equilibrio della settimana di lavoro verso gli uffici.
L’equilibrio, a questo punto, è restare flessibili. Giampiero Zurlo, fondatore e amministratore delegato di Utopia, società di comunicazione istituzionale e public affair, durante la pandemia ha gestito una sessantina di persone in lavoro remoto tra Roma, Milano e Bruxelles. Grazie ai software di lavoro condiviso, la sua azienda ha continuato a operare.
Ma Zurlo si è accorto in fretta degli effetti collaterali. Racconta che la mancanza di contatto fisico tra colleghi ha pesato, e dunque bisogna portare le cose positive di quell’esperienza nel mondo post Covid. Flessibilità, appunto. Del resto è la routine coatta che uccide l’innovazione.
La tendenza al lavoro ibrido, con un graduale spostamento verso gli uffici, è confermata anche dalla ricerca di Knight Frank, che ha riguardato aziende di tutto il mondo in settori che vanno dalla tecnologia ai servizi finanziari.
Circa un terzo delle società intervistate ha optato per un lavoro del tutto o quasi in presenza. Il 56% ha scelto una politica ibrida, mentre circa il 10% prevede di essere prevalentemente o interamente in remoto.
Il risultato è che a Londra, secondo i dati di Cushman & Wakefield, le aziende occupano meno spazio rispetto alla media pre-Covid, anche se l’anno scorso c’è stato un alto numero di traslochi di uffici.
Anselmo Faidit
Commenti
Illusori vantaggi dello smart working, si torna in ufficio — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>