Le mille polente della tradizione nazionale
Un bel dì tra l’Oglio e il Brenta / Venne al mondo la polenta…/ Era il cibo degli dei / La polenta con gli osei!” così tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento canta Giovanni Signorelli detto Mèrica che però non ci dice quando fu questo del dì.
Inoltre è quasi certo che la polenta nasce in più posti quando in Italia arriva il mais (Zea mays L.) che nel 1492 Cristoforo Colombo (1451 – 1506) incontra in America Centrale e da noi chiamato frumentone, granone, grano giallo, frumento a granelle grosse e gialle o granturco, perché nel primo Millecinquecento “turco” tutto ciò che è straniero.
In Europa le prime coltivazioni di mais iniziano trenta anni dopo la scoperta dell’America e in Italia Venezia lo introduce nelle sue terre dove la prima seminagione è datata 1554.
Il mais è un cereale facilmente coltivabile e a partire dal Milleseicento il territorio veneto, lombardo e padano è tra i primi in Italia dove la sua coltivazione si afferma trovando zone con condizioni agroclimatiche particolarmente favorevoli al suo sviluppo.
La farina di mais non è però adatta per la produzione di un pane con i suoi caratteri tradizionali e le popolazioni italiane trovano un nuovo modo di usare questa farina secondo l’antichissimo italico sistema della cottura in acqua formando una puls o pulentum, come quella comunemente consumata fin dall’epoca romana quanto ancora i romani non usavano il pane.
Scrive infatti Lucio Anneo Seneca (? – 65 d. C.) Pulte, non pane, vixisse longo tempore Romanos manifestum e cioè di polta o polenta e non di pane vissero per lungo tempo i romani.
Non una, ma cento e forse mille sono le polente perché il mais, tramandato di generazione in generazione negli orti e nei campi dalle famiglie contadine, nel corso dei decenni si modifica in numerosissime razze e varietà dando origine a polente che assumono caratteri diversi legati anche alle tradizioni e consuetudini locali e assumendo fisionomie e usi e accoppiamenti gastronomici differenti.
Da qui polente bianche o gialle di diversa intensità, consistenti da tagliare con un filo o molli da mangiare con il cucchiaio, con un aroma e sapore diverso da luogo a luogo e da usare in cucina accoppiate ai formaggi, intingoli di carne, pesci conservati o cucinati, salumi di ogni tipo, da usare in cucina anche fritte in mille modi perché in Italia valeva il detto che ogni paese se non ogni casa aveva la sua polenta.
Questo avviene perché il mais è coltivato mettendo un chicco (cariosside) in un buco fatto con un puntello nel terreno e quando la pianta produce la pannocchia da questa il contadino, più spesso la contadina, per la successiva coltivazione sceglie i chicchi che più loro aggrada per grossezza, forma, colore od altro e così facendo compie una selezione che nel tempo crea una varietà genetica locale.
Quanto ora delineato che è anche aiutato dalla presenza nel mais di trasposoni, elementi genetici capaci di spostarsi da una posizione all’altra del genoma e studiati nel mais da Barbara McClintock (1902 – 1992) che per questa scoperta è Premio Nobel nel 1983.
In base a questa selezione operata dalle contadine, in Italia sono oggi identificate 633 landrace (razze autoctone) di mais, diverse per composizione del chicco (contenuto di proteine, lipidi e amido, area di galleggiamento ecc.), in confronto a 519 razze provenienti da venti paesi.
Ad ogni razza o varietà autoctona locale italiana di mais corrisponde una diversa forma e dimensione della pannocchia e la dimensione, composizione dei semi la loro qualità non solo di colore ma anche di contenuto in carotenoidi, antociani e polifenoli.
Alla diversità genetica dei mais italiani corrisponde anche una altrettanta diversità delle farine di mais e delle polente che sono state analizzate sotto l’aspetto sensoriale considerando tredici parametri: quattro per odore, tre per gusto, quattro per aroma e due per consistenza.
Nella differenziazione sensoriale della polenta da parte dei consumatori non pare intervenire il colore dovuto agli antociani, ma la selezione di nuove varietà di polenta di mais ricche di pigmenti antociani, potrebbe essere accettabile per i consumatori e un valido strumento per aumentare il potere antiossidante nella dieta umana dando anche a queste polente un valore di alimenti funzionali.
I mais destinati all’alimentazione umana e soprattutto le diverse polente locali di cui l’Italia è ricchissima fino ad oggi pochissimo valorizzate, aspettano ora di essere rivalutate nella loro varietà gastronomica considerando anche le potenzialità di alimenti funzionali.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Nazionale della Cucina
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