Debito pubblico, il mostro che soffoca l’Italia
Nel 2022 il debito pubblico italiano è schizzato a quota 2.867,7 miliardi di euro, un numero spaventoso pari al pari al 139,8% rispetto al Pil.
Inflazione, spesa incontrollata, pandemia, risanamento inefficace, sono tante le variabili che hanno portato il nostro paese a capeggiare nella poco meritoria classifica dei paesi europei più indebitati.
Il report Il debito pubblico in Italia della Roma Business School prova a fotografare la situazione dell’amministrazione centrale e delle amministrazioni locali, con uno sguardo alle prospettive del futuro.
Negli anni ’90, con una non sottile vena ironica, i giornalisti economici inglesi hanno coniato l’acronimo PIGS utilizzando le iniziali dei paesi europei con le peggiori condizioni debitorie: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.
Sin dall’entrata nell’euro, l’Italia si è caratterizzata per un debito pubblico molto superiore sia alla media europea sia ai criteri stabiliti dal Trattato di Maastricht (60% in rapporto al PIL).
Il debito del nostro Paese ha raggiunto il suo apice nel 2020, giungendo al 154,9%, unico Paese dell’Area euro a superare la quota del 150%.
Dal punto di minimo, negli ultimi 20 anni, è stato pari a 103,9% nel 2007 ma nei sette anni successivi il debito è cresciuto di 31,5 punti percentuali per poi stabilizzarsi tra il 2015 e il 2019 poco sopra al 130%.
Ma chi detiene i quasi 3mila miliardi di debito pubblico italiano? In Italia, Spagna e Francia, tre paesi con una condizione dei conti pubblici simile, a fine 2022 la maggior parte del debito pubblico era detenuta da istituzioni finanziarie come banche e compagnie di assicurazione.
In Italia questa componente pesa per il 63,7% sul debito pubblico lordo; è pari al 58,8% in Spagna, mentre in Francia la percentuale scende al 51,2%.
Una componente residuale (0,2% in Spagna, l’1,5% in Francia e l’1,8% in Italia) è detenuta da istituzioni non finanziarie.
Storicamente nel nostro paese una quota importante del debito pubblico è detenuta da “famiglie e istituzioni no profit”, questa quota è pari al 7,7%.
Infine, la quota rimanente del debito pubblico detenuta dai soggetti operanti nel “Resto del mondo” è superiore al 40% in Spagna (40,8%) e Francia (47,3%), mentre si riduce al 26,8% in Italia.
Nello specifico, per quanto riguarda la composizione, il debito pubblico italiano fa evidenziare, ad agosto 2023, una netta concentrazione di titoli di debito a medio-lungo termine, pari al 79,3%, in aumento di 7 punti percentuali rispetto a gennaio 2002.
Nello stesso periodo, l’esposizione su titoli a breve termine si è ridotta passando dall’8,5% di gennaio 2002 al 4,3% di agosto 2023. Le monete e i depositi bancari pesano, invece, per il 7% ad agosto 2023, in calo di 6,5 p.p. rispetto a gennaio 2002.
Al contrario aumenta il peso dei prestiti di banche e fondi che passa dal 4,6% al 5,2% e della componente residuale, “altre passività” (dallo 0,9% all’1,9%).
Infine, l’incidenza dei prestiti con le Istituzioni europee è pari al 2,3%.
Se l’amministrazione centrale “fa la cicala”, di certo le amministrazioni locali non fanno le “formichine”. Il report ha preso in considerazione i dati della Banca d’Italia, che evidenziano un discreto grado di eterogeneità tra le Amministrazioni regionali italiane nel 2022.
La regione che ha il debito pubblico più alto è il Lazio, con un debito pubblico lordo pari a 28,3 miliardi di euro (il 24,3% del debito pubblico delle Amministrazioni regionali). Molto indebitata è anche la Campania con 15,6 miliardi di euro (il 13,4% dell’aggregato delle regioni), la Lombardia, il Piemonte e la Sicilia dove il livello di debito è poco superiore ai 10 miliardi.
Nelle altre regioni il livello di indebitamento è di gran lunga inferiore. La Sicilia è l’unica, tra le regioni a statuto speciale, ad avere una situazione debitoria tanto critica.
Al contrario, particolarmente contenuta è l’esposizione della Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata con un debito pubblico lordo complessivo inferiore ad 1 miliardo di euro.
Possono contare su un debito pubblico limitato anche le altre due regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, con valori pari a 1,3 miliardi di euro.
Negli ultimi 25 anni le regioni italiane hanno accumulato debito pubblico in maniera poco omogenea. Le regioni che oggi si ritrovano con il debito pubblico più pesante sono proprio quelle che hanno avuto le performance peggiori negli ultimi 25 anni.
Di particolare rilievo l’aumento cumulato registrato dalla Campania (+347%, tra il 1998 e il 2022), dal Lazio (+270%), dalla Calabria (+241%) e dalla Sicilia (+185%).
Al contrario, regioni come il Friuli-Venezia Giulia (-16%), l’Emilia-Romagna (-19%) e la Sardegna (-39%) hanno registrato riduzioni del debito a doppia cifra, grazie a una sapiente politica di contenimento della spesa e risanamento dei conti pubblici regionali.
La crescita del rapporto debito pubblico/PIL dei paesi dell’Area euro dovrebbe rallentare rispetto al triennio 2020-2022.
“Le recenti stime della Commissione Europea (2023) prevedono per l’aggregato dei Paesi dell’Area euro un deficit annuo in rapporto al PIL nel triennio 2023-2025 tra il -3,4% (2023) ed il -2,1% (2025) – si legge nel report -. Particolarmente evidente è la riduzione tra il 2022 e il 2023 del deficit italiano che scende dal -8% al -5%. Per il 2024-2025 il tasso di crescita annuo del deficit pubblico è stimato ancora in diminuzione rispettivamente al -4% e -2,5%. Simile percorso per Francia e Spagna: per la Francia si prevede un tasso di deficit pari al -4,9% nel 2023 e al -4,5% e -3,6% per il biennio 2024-25, mentre per la Spagna la Commissione Europea stima un deficit annuo pari al -4,8% per il 2023 e al -4,1% e -3,3% nel biennio 2024-25. Indebitamenti inferiori si registrano per Germania e Area euro. Nel triennio 2023-2025 il tasso di deficit della Germania risulta sempre inferiore al 3% e in costante calo, per scendere fino ad un ridotto -0,5% nel 2025. Tra il -3,4% del 2023 e il -2,1% il tasso di deficit dell’Area euro”.
In definitiva, nel 2025 il rapporto debito pubblico/ PIL per l’Italia dovrebbe attestarsi intorno al 140%, per la Francia al 110%, per la Spagna al 107%, mentre Area euro e Germania si ferma all’89% e 63%.
Salvarico Malleone
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