La crisi dell’Europa e delle democrazie
Sul Corriere della Sera Sabino Cassese indica i cinque «fattori latenti» di crisi, già presenti in Europa da una cinquantina di anni e in grado – di portare al collasso delle democrazie.
In primo luogo, scrive Cassese, le democrazie mature, quelle che hanno un secolo di vita alle spalle, sentono il peso di un nobile passato. Hanno dato ascolto a molti e contraddittori interessi collettivi, dall’occupazione allo sviluppo, all’istruzione, alla protezione sociale, alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, e così via. Ma quando debbono decidere e devono mettere insieme tutti questi interessi, trovano difficoltà a stabilire quale di essi debba avere la prevalenza.
In secondo luogo, nelle democrazie contemporanee sono spariti quelle organismi che una volta avvicinavano i governanti ai governati, i partiti come associazioni. Le forze politiche hanno cambiato natura e sono divenute oligarchiche. Quindi, lo strumento principale della democrazia non è esso stesso democratico. Questa atomizzazione della società provoca una debilitazione dei parlamenti.
Nelle democrazie mature, in terzo luogo, mancano le grandi idealità che hanno mosso il mondo per due secoli, aggregando gli elettorati. Gli stessi portatori di interessi economici e sociali non riescono ad unirsi o a trovare convergenze. Quindi, l’offerta di politica è debole e frammentata.
Il quarto fattore di crisi riguarda le attitudini dei governanti, per i quali la politica non è più passione, ma mestiere. Essi cercano di andare incontro alle pulsioni popolari, invece di guidare i sentimenti dei cittadini, e restano prigionieri di tali pulsioni.
Il quinto fattore sta nella sottovalutazione di quello che una volta si chiamava «l’ordine della ragione». La possibilità di agire secondo ragione richiede di attivare processi cognitivi che aumentano la capacità dell’elettorato, mantengono il suo rapporto con i rappresentanti e consentono quel progresso del governo rappresentativo che consiste nell’estrarre dalla nazione gli uomini capaci e di metterli alla sommità dell’edificio sociale.
Guglielmo d’Agulto
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