A proposito di Geolier e del Festival di Sanremo
L’ esibizione del rapper napoletano Geolier, nome d’arte del ventiquattrenne Emanuele Palumbo, è risultata vincitrice del premio Cover durante il recente evento nazionale.
Può quest’ultima semplice ed emblematica locuzione apparire un caso?
A mio parere, no.
Ciò da cui una mente intellettualmente audace possa sentirsi toccata, è la ignobile ed incivile reazione del pubblico del Teatro Ariston il quale non ha esitato a fischiare e addirittura alzarsi ed andarsene, dopo la proclamazione.
Alcune domande poste da giornalisti durante l’ ultima conferenza stampa, sono apparse offensive e fuori luogo, nei confronti di un esordiente ed al contempo orgoglioso cantante di soli 23 anni proveniente dai quartieri periferici della città partenopea.
Ed è proprio quest’ultimo il punto su cui vale la pena fare una riflessione.
Appaiono così evidenti i grandi limiti creati da pregiudizio e giudizio nei confronti della “diversità”.
Mi spiego: il genere Rap, introdotto con estrema lungimiranza al Festival, se per di più rappresentato da un giovanissimo, può apparire, ahimè, nella mentalità dei tanti, un azzardo inaccettabile.
Osservare così la diversità, non come motivo di curiosità e di nuova riscoperta, ma di arrogante, presuntuosa ed inetta valutazione costituisce proprio il giudizio e pregiudizio sopra accennati.
Purtroppo questi ultimi, sono conseguenza ed al contempo frutto di troppo rigidi schemi, chiamati da me durante il flusso del ragionamento “limiti”, che riducono ed ostacolano la psiche nel porsi in maniera libera ed indipendente verso un qualcosa che a prima impressione può apparire insolito ed inconsueto, ma, a mio modo di vedere, curioso.
Spero vivamente che questo spiacevole episodio creato dal pubblico e da parte di una parte della stampa presente a Sanremo, possa divenire emblematico per la maggioranza della società attuale, al fine di sensibilizzare quest’ultima alla riscoperta del “nuovo” visto come punto di forza, e non come il ripudiato e ripetuto, sostantivo “limite”.
Giulia Carena
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