La crescita del Pil nel 2024 e 2025 sarà al ribasso
La Commissione europea nelle sue previsioni invernali (le ultime prima del Def) si allinea all’attuale consenso: il Pil dell’Italia (+0,6% nel 2023) aumenterebbe dello 0,7 nel 2024 e dell’1,2 nel 2025.
Solo un paio di settimane fa, l’Upb (che ad aprile valuterà l’attendibilità dello scenario macroeconomico del Def) ha prospettato una crescita dello 0,8% quest’anno e dell’1,1 nel prossimo.
Sostanzialmente simili a queste stime sono le previsioni del FMI di fine gennaio (0,7 nel 2024 e 1,1 nel 2025) e dell’Ocse di febbraio (0,7 e 1,2).
Insomma, quando il Mef comincerà, in marzo, a rimettere mano allo scenario macroeconomico dovrà prendere atto di un quadro diverso da quello che aveva predisposto sei mesi prima, in base al quale il Pil avrebbe dovuto espandersi dello 0,8% lo scorso anno, dell’1,2 in quello in corso e dell’1,5 nel 2025.
Cumulativamente, la crescita del triennio 2023-2025 ipotizzata a settembre dal Governo risulta più bassa di circa 1 punto rispetto alle correnti valutazioni dei previsori.
Naturalmente il consenso potrà ancora variare di alcuni decimi da qui all’avvio dei lavori per il DEF e non necessariamente in peggio.
Gli indicatori di inizio anno mostrano miglioramenti nei servizi, mentre l’attesa brusca frenata delle costruzioni (con l’esaurirsi del superbonus) non è per ora evidente, talché è anche possibile un avvio del 2024 più robusto di quello che viene ora preventivato.
Tuttavia, un I trimestre un po’ più solido – almeno non peggiore del IV trimestre 2023 (+0,2%) – non modificherebbe molto la prospettiva.
Il quadro macro del governo non potrà discostarsi in modo sostanziale dalle prospettive attuali, con conseguenze per la finanza pubblica disegnata nella Nadef che (flebile discesa del debito/PIL) era appesa all’incerto filo della congiuntura allora ipotizzata.
Il solo peggioramento della crescita rispetto a quelle assunzioni, abbassando il denominatore e ampliando il numeratore, farebbe salire nel 2025 il rapporto debito/Pil rispetto al 2023.
Il risultato di un maggior debito/Pil per cause congiunturali non è comunque l’unica chiave di lettura.
Mancano, infatti, all’appello informazioni su come sta andando la finanza pubblica, nonché sull’evoluzione del deflatore del PIL (è infatti il PIL nominale a contare).
Per la stima del deflatore il governo si era mantenuto, in settembre, prudente (deflatore contenuto) in confronto con le altre previsioni, ma la discesa dell’inflazione sta ora avvenendo a ritmi rapidi, sicché anche quella cauta previsione del governo potrebbe rivelarsi non di grande aiuto, non dando luogo a un auspicato effetto compensazione, forse contemplato a settembre, sul debito/Pil (a consuntivo, una maggiore inflazione che compensa la minore crescita).
In definitiva, mentre la prospettiva macro sembra definirsi pur tra incertezze, mancano tessere importanti al completamento del puzzle dei conti pubblici, in particolare per il debito, che verrà a comporsi nel Def.
Arnaud Daniels
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