Prosegue lo strapotere tedesco in Europa
Dopo la mancata ratifica delle modifiche al Trattato sul Mes qualcuno aveva previsto reazioni dei partner europei cominciando dal non accoglimento della richiesta italiana di istituire a Roma la sede della nuova Amla, l’Autorità europea antiriciclaggio.
L’Italia aveva i maggiori titoli; si pensi alle prove nell’azione di contrasto e repressione dell’alta criminalità finanziaria date dalla magistratura, dagli organi di polizia e dalle autorità monetarie, ma anche dalla normativa regolatrice, per non parlare del contesto ambientale e istituzionale in cui l’authority si sarebbe insediata, tra l’altro con i facili collegamenti europei e internazionali.
Per lungo tempo tradizioni giuridiche, effettività dell’operare e contesto avevano diffusamente indotto a ritenere, non solo in Italia, che l’assegnazione dell’autorità all’Italia fosse quasi scontata, anche per la presenza in uno Stato-fondatore di una sola vera authority europea, quella per la sicurezza alimentare di Parma, a differenza di altri Paesi.
Invece così non è stato.
Il 22 febbraio con il voto di Consiglio e Parlamento Ue è stato deciso che la sede dell’Amla sarà Francoforte, cui sono andati 28 voti su 54.
Per Roma, classificatasi quarta, hanno votato solo quattro membri: una sconfitta secca che ricorda quella per Expo 2030.
Dimostra onestà intellettuale insieme con un legittimo orgoglio il cancelliere Olaf Scholz nel dire che con questa assegnazione Francoforte diventerà ancora più forte nella finanza d’Europa.
Quell’espressione “ancora più forte” contrasta con un equilibrio territoriale che la decisione avrebbe dovuto dimostrare, anche per evitare di mettere insieme a Francoforte la Bce, la Vigilanza unica, l’Eiopa.
Comunque una risposta di questo tipo al diniego della ratifica sul Mes assume la veste di ritorsione ed è inaccettabile perché subordina una scelta che dovrebbe obbedire a criteri e requisiti propri al modo in cui si è deciso su un’altra materia.
Tuttavia non è adesso che si afferma un tale comportamento nell’Unione.
Tant’è.
A questa vicenda e al suo esito concorre anche il modo in cui è stata trattata la competizione per l’assegnazione della presidenza della Bei.
Non è stato saggio aver insistito fino all’ultimo sulla candidatura di Daniele Franco, che si sapeva non essere idonea ad aggregare i necessari consensi.
A questo punto molto più svelti sono stati gli spagnoli – che da sempre coltivano con molta perizia presenze e cariche a Bruxelles – i quali, conducendo nello scorso anno il semestre di presidenza dell’Unione, hanno sfruttato il momento per un pactum con i tedeschi: un do ut des che ha previsto il sostegno alla presidenza della Bei della spagnola Nadia Calvino e l’assegnazione dell’Amla alla Germania.
Altro che approfondimento di criteri, analisi accurate, valutazione delle prospettive: l’accordo rapido e bilanciato tra le due parti è stato risolutivo e Roma, nonostante che abbia moltissimi fattori a suo favore, è passata in secondo piano.
Ci allontaniamo con un critico vade retro da questo modo di agire in concorso con la défaillance sul Mes?
Ma dobbiamo sapere che, come diceva il grande governatore della Banca d’Italia Donato Menichella, queste sono le carte e con queste bisogna giocare.
Avremmo potuto anche noi entrare in un accordo con Germania o la Spagna abbandonando per tempo la candidatura Franco.
È sperabile comunque che a sostegno della scelta dell’Italia abbia contribuito a rappresentare l’importanza della sede romana anche la Banca d’Italia, con la quale coesiste la Uif-Unità d’Informazione Finanziaria, ossia l’autorità nazionale antiriciclaggio.
Comunque l’Amla inizierà a operare intorno a metà marzo.
Avrà soprattutto poteri di coordinamento delle autorità nazionali e alcune attribuzioni di intervento diretto.
È auspicabile che la nostra autorità si faccia valere nei rapporti con essa.
Intanto è opportuno riflettere sulla lezione ricevuta in corpore vili per i necessari aggiustamenti per il futuro.
Arnaud Daniels
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