I lupini di Padron ‘Ntoni hanno un futuro
Giovanni Verga (1840 – 1922) in uno dei più notevoli romanzi della letteratura italiana, I Malavoglia (1881), narra dei Toscano, una famiglia di pescatori che acquista un carico di lupini da rivendere, per poi così diventare commercianti. Padron ‘Ntoni affida al figlio Bastianazzo di andare a vendere i lupini allo scalo commerciale di Riposto, ma durante il viaggio la barca fa naufragio, il carico di lupini si perde in mare e Bastianazzo, la principale fonte di sostentamento della famiglia, muore. Da qui inizia la tragedia di una famiglia nel disonore e nella miseria che per pagare il carico di lupini devono vendere la casa. I lupini dei Malavoglia non sono pesci o molluschi ma i semi di Lupinus albus, legumi diffusi e consumati nel catanese, un’antica pianta originaria e diffusa del bacino mediterraneo per la coltivazione e il consumo alimentare. Conosciuti dagli Egizi, Greci presso i quali Ippocrate li ricorda come particolarmente digeribili e popolazioni della Magna Grecia, i lupini sono noti ai Romani dove sono citati da Gaio Plinio Secondo (23 – 79) e Quinto Orazio Flacco (65 a. C. – 8 a. C.) nelle Epistole scrive che l’uomo probo e saggio è incline alle cose alte, né d’altra parte ignora quanto siano distanti le monete dai lupini.
I lupini sono stati coltivati con diverse finalità: miglioramento del suolo a pascolo, alimentazione umana, qualità terapeutiche e fino alla prima metà del secolo scorso tradizionalmente consumati da soli come snack, spesso venduti nei chioschi alle sagre e nei cinematografi popolari. Ora questo alimento povero della tradizione italiana sopravvive nelle sagre e feste popolari soprattutto nelle regioni del Sud d’Italia, quali il Lazio, la Campania, la Puglia e la Calabria dove il lupino è ancora coltivato, ma sta dimostrando interessanti e importanti segni di rinascita.
Il lupino ha una storia antica. Qualcuno ipotizza che il suo nome possa derivare dal latino lupus perché cibo da lupo o che ricorda l’aggressività dell’animale, dato che la pianta è nota come killer delle malerbe, ma probabilmente deriva dal greco lype che significa tristezza, per il suo gusto perché il lupino crudo, senza trattamenti, ha uno sgradevole sapore amarognolo. Il lupino è una leguminosa della famiglia delle Fabacee come le lenticchie, i fagioli, le fave, i piselli, i ceci. Molte sono le specie di lupini, oltre seicento, ma solo quattro adatte all’alimentazione umana, mentre altre sono utilizzate come pianta ornamentale, alimento per il bestiame, per frenare l’erosione dei pendii o per migliorare la fertilità dei terreni, data l’alta capacità di questa pianta di fissare l’azoto atmosferico nelle sue radici. Tra i lupini commestibili tre sono originari del Mediterraneo e presenti in Europa: Lupino albus (bianco) il più coltivato in Italia, Lupino luteus (giallo) e Lupino angustifolius (blu). Varietà coltivate in Italia e considerate Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) sono il Lupino Dolce di Grosseto, il Lupino del Pollino, il Lupino Pilosus di Anterivo o Behaarte Lupine di Bolzano e val di Fiemme, il Lupino Gigante di Vairano.
Oggi i lupini di Padron ‘Ntoni sembra possano avere un futuro. Si prevede infatti che la necessità di nutrienti di origine vegetale crescerà a causa dei fattori economici e ambientali, nonché del sostegno allo sviluppo di alimenti nuovi, sicuri e sani che possono rispondere alla crescente consapevolezza dei consumatori dell’impatto delle loro abitudini alimentari sul benessere umano. I semi di leguminose sono una delle fonti proteiche alternative più promettenti per l’integrazione nutrizionale e il miglioramento tecnologico degli alimenti tradizionali. Per questo i lupini con la loro speciale composizione, composta principalmente da proteine, fibre e quantità limitate di olio continuano ad essere oggetto di sperimentazione da parte di nutrizionisti e tecnologi alimentari, allo scopo di trovare una valida alternativa alla soia e per offrire una maggiore qualità nutrizionale e proprietà organolettiche (aroma, sapore, colore) agli alimenti con alto contenuto proteico, senza glutine, con basso indice glicemico, adatti anche per chi soffre di diabete, vegani e vegetariani. Inoltre i lupini e in particolare il Lupinus albus contengono significative quantità di oligosaccaridi della serie del raffinosio che nell’intestino sono fermentati dal microbiota intestinale promuovendo la crescita dei bifidobatteri che hanno attività probiotiche, inibendo anche la crescita di Escherichia coli nell’intestino. Un approccio promettente nell’uso dei derivati dei lupini e in particolare del lupino bianco (Lupinus albus) con un potenziale ritorno nel mercato nutraceutico è la produzione di prodotti specializzati per consumatori con determinate esigenze soprattutto nelle aree delle malattie cardiovascolari e diabete mellito.
I lupini sono ricchi di alcaloidi o lupotossine con effetti potenzialmente tossici e sapore amaro, per cui nell’alimentazione umana è necessaria una deamarizzazione con la quale i lupini assumono un gusto leggermente acido e dolciastro, mentre il seme tostato ha un retrogusto di nocciola lievemente amaro. Molto promettente si prospetta l’uso di derivati dei lupini, quali farine, frazioni proteiche e fibre, da parte di industrie alimentari. Nell’industria della panificazione le materie prime derivate dal lupino possono essere utilizzate per la fabbricazione di diversi prodotti da forno e aggiunti a pasta, patatine e pane. In questi prodotti la farina di lupini con il suo buon potere emulsionante migliora la microdistribuzione dell’acqua negli impasti per cui la preparazione dell’impasto risulta più facile, con il risultato di avere i prodotti un colore giallo che possono meglio resistere al congelamento e allo scongelamento.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Nazionale della Cucina
Commenti
I lupini di Padron ‘Ntoni hanno un futuro — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>