Lettera a Donatella Di Cesare, prof.ssa di Filosofia Teoretica
Enzo Marco Letizia, segretario nazionale dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, ha inviato una lettera a Donatella Di Cesare, docente alla Sapienza di Roma, autrice di un post molto discusso a seguito della morte di Barbara Balzerani, la brigatista rossa coinvolta nel rapimento e nel vile assassinio di Aldo Moro, arrestata e condannata a sei ergastoli.
Di seguito il testo integrale della lettera.
“Gentile Professoressa,
Vogliamo e dobbiamo essere onesti: certi argomenti ci toccano più di altri. Parlare di un periodo tragico della storia di questo Paese, quello dei c.d. “anni di piombo”, impone a chiunque si avventuri nell’impresa – ma a fortiori agli attori istituzionali ed a chi suole presentarsi di frequente di fronte alle telecamere come “autorevole” esponente del mondo universitario – equilibrio, cognizione di causa, delicatezza e sensibilità, ma, prima di ogni altra cosa, richiede rispetto.
Rispetto per le centinaia di vittime, per tutte le vittime: appartenenti alle Forze dell’Ordine, esponenti della società civile, semplici cittadini, giovani studenti.
Rispetto per i familiari delle vittime che, come ebbe a dire il Presidente Mattarella in occasione di un anniversario di quella che è stata forse la più immane tragedia di quegli anni, la strage di Bologna: “hanno saputo trasformare il dolore in impegno civile per testimoniare all’intera società che le strategie del terrore mai prevarranno sui valori costituzionali della convivenza civile e, pertanto, meritano la gratitudine della Repubblica”.
Fatte queste doverose premesse, viene da chiedersi se Lei, Ordinaria di Filosofia Teoretica presso l’Università La Sapienza di Roma, abbia contezza del tributo di sangue versato dal suo stesso Ateneo a quella “rivoluzione”, che con un post pubblicato sul proprio profilo social in ricordo della defunta BR Barbara Balzerani, ha ritenuto di rivendicare come propria.
Ebbene, Professoressa, per dovere d’Ufficio ci preme rinfrescarle la memoria con qualche nome di suoi – ci consenta, più autorevoli – Colleghi:
- Aldo Moro, Ordinario di Procedura Penale, ucciso dalle BR il 9 maggio 1978 in note circostanze;
- Vittorio Bachelet, Ordinario di Diritto Amministrativo, ucciso il 12 febbraio 1980 da un commando delle BR al termine di una lezione;
- Ezio Tarantelli, Ordinario di Economia Politica, ucciso il 27 marzo 1985 da un commando delle BR nel parcheggio dell’Ateneo, al termine di una lezione;
- Massimo D’Antona, Ordinario di Diritto del Lavoro, ucciso dalle BR il 20 maggio 1999 a Roma in note circostanze.
L’Università è un luogo di discussione scientifica e cultura democratica: in tale contesto, la memoria va coltivata per ricordare il valore di questi fondamentali principi e, soprattutto, quello della stessa Università vera e propria palestra civile di un linguaggio che rifiuta la violenza.
E infatti, anche il dialogo democratico, la dialettica tra le parti, il confronto schietto, non possono prescindere dalla comune condivisione delle regole del gioco: deve essere chiaro, in altre parole, cosa determina un “cartellino rosso”.
Non possiamo e non dobbiamo, nemmeno per un istante, consentire che esternazioni obiettivamente ingiustificabili, che si pongono irrimediabilmente fuori dallo Stato democratico e, peraltro, inopportune in relazione al ruolo istituzionale rivestito, passino sotto traccia in forza di una spregiudicata e dannosa strumentalizzazione della libertà d’espressione, che non può e non deve essere invocata a panacea di tutti i mali.
Oggi più che mai, di fronte alle sfide che attendono il Paese, con la guerra alle porte d’Europa ed il caos in Medio Oriente, non possiamo permetterci cattivi insegnamenti, provenienti da coloro che, per conto dello Stato e pagati dallo Stato, sono incaricati di formare le nuove generazioni.
Non intendiamo soffermarci sui suoi tentativi di rettifica, ci consenta, obiettivamente maldestri.
Ci limitiamo, però, a rilevare che quella stessa “libertà di espressione” da lei rivendicata si trovava vergata su un inquietante volantino di “solidarietà” affisso proprio in Sapienza, recante una stella a cinque punte di colore nero, peraltro da lei stessa orgogliosamente condiviso nella assurda convinzione che un volantino di matrice anarchica possa essere realmente rappresentativo del suo corpo studenti.
D’altra parte, se è vero che sbagliare è umano, crediamo sinceramente nel ravvedimento operoso: la invitiamo quindi, per il futuro ed a dimostrazione della buona fede che rivendica ad utilizzare il suo ruolo e le sue “presenze mediatiche” per rendere, invece, omaggio alle vittime di quegli anni.
Faccia memoria. Non per noi.
Lo faccia per i suoi studenti, anche per quelli che le hanno “espresso solidarietà” e che grazie al sacrificio di quelle vittime, sono stati preservati dalle violenze che quella “rivoluzione” ha causato per oltre vent’anni”.
Enzo Marco Letizia
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