L’Italia è al 12esimo posto per attrattività lavorativa
Più della metà dei professionisti vuole trasferirsi all’estero (63%) e quasi uno su quattro (il 23%) cerca attivamente lavoro in altri paesi.
Sono questi alcuni dei dati più significativi della quarta edizione della Global Talent Surveya, l’indagine sulle preferenze di mobilità lavorativa a livello globale, che ha coinvolto 150mila persone di oltre 180 paesi.
Realizzata da Boston Consulting Group, in collaborazione con The Network e The Stepstone Group – con i risultati che sono stati raccolti e analizzati nello studio Decoding Global Talent 2024 -, l’indagine vede una piccola inversione di marcia rispetto agli altri anni. Basti pensare che nel 2018 la percentuale di coloro che intendevano trasferirsi all’estero era pari al 78% e nel 2020 al 66%.
Ma conferma comunque il ruolo chiave giocato dal remote working e della continua evoluzione tecnologica, come dimostrano i dati sulla mobilità attiva, che nel 2023 è salita al 23%, rispetto al 21% del 2018 e del 2020.
Ma dove ci si vuole trasferire?
Tra i paesi più attrattivi e più ambiti è l’Australia ad aggiudicarsi il primo posto, seguita da Usa, Canada e Regno Unito.
Dato che dimostra che sono sempre i paesi di lingua inglese e con economie forti continuano a dominare la classifica. Immediatamente fuori dal podio troviamo diversi paesi europei, come Germania e Svizzera, e alcune destinazioni asiatiche come Giappone e Singapore.
Ma cosa rende certi paesi più attrattivi?
Certamente il progresso professionale, ragione specificata dal 68% dei rispondenti che hanno indicato l’Australia e dal 77% di coloro che hanno indicato gli Usa.
Seguono fattori quali la qualità della vita, il reddito e il costo della vita, la sicurezza e la stabilità, la cultura accogliente e inclusiva, ma anche l’ambiente family-friendly, l’assistenza sanitaria, l’innovazione e la digitalizzazione, così come la facilità di accesso a processi per visti e permessi di lavoro, come spiega anche Matteo Radice, Managing Director e Partner di Boston Consulting Group.
“Tra i motivi che spingono i lavoratori trasferirsi in un altro paese emergono due fattori importanti: la qualità della vita e la qualità delle opportunità di lavoro. Quest’ultima è da qualificare in modo diverso rispetto allo stipendio tout court. Intorno a questo tema ci sono infatti la possibilità di crescita professionale e l’apprendimento applicato alle proprie competenze – afferma. Le scelte dei lavoratori sono sempre più guidate da aspetti della employer value proposition che indirizzano bisogni più emozionali rispetto al passato. Questo emerge anche da altre ricerche: il buon clima aziendale, il rapporto con i colleghi, lo sviluppo delle competenze, la flessibilità nell’organizzazione del lavoro, ad esempio, sono elementi che dieci anni fa non rivestivano la medesima importanza”, aggiunge Radice.
A livello globale l’Italia si piazza al 12esimo posto per attrattività lavorativa complessiva, perdendo una posizione rispetto al 2020. In particolare, il paese risulta attrattivo per chi proviene da Argentina (19%), Egitto (11%), Marocco, Romania e Tunisia (10%). Il 72% di chi ha risposto al sondaggio ha indicato la qualità della vita come motivo principale, seguito dalla qualità delle opportunità lavorative e da cultura accogliente e inclusività (45%), costo della vita (34%) e ambiente family-friendly (33%).
Anche gli italiani si aspettano supporto concreto dal futuro datore di lavoro.
Nello specifico, il 78% degli intervistati si aspetta assistenza per l’alloggio, il 63% per il visto e i permessi di lavoro, così come per il supporto generico alla ricollocazione, mentre il 59% per la lingua.
Dal desiderio di migliorare la propria qualità di vita alla ricerca di nuove prospettive professionali, le motivazioni che spingono i talenti a considerare il trasferimento all’estero sono molte e complesse.
Emerge chiaramente la necessità di un supporto concreto da parte dei datori di lavoro per agevolare questa transizione e garantire ai professionisti un’esperienza soddisfacente.
Con una comprensione approfondita di queste dinamiche e un ruolo attivo di governi e istituzioni, la disponibilità alla mobilità dei talenti e la necessità delle aziende di attrarre i migliori possono incontrarsi attraverso strategie efficaci.
L’indagine ha riguardato un panel significativo anche in Italia, equamente distribuito tra uomini e donne, con diversi livelli di istruzione, background lavorativo, stati occupazionali e situazione abitativa. È emerso che il 15% è disposto attivamente a lavorare all’estero.
Un dato che torna in linea con il 17% del 2018, crollando rispetto al 57% del 2020, anno caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e probabilmente influenzato dallo stesso fenomeno.
Tra i giovani, ossia tra i rispondenti con meno di 30 anni, la percentuale sale al 20% e, per gli italiani in possesso di laurea, master o dottorato, al 24%.
La meta ideale per gli italiani resta la Svizzera, seguita dalla Spagna, che guadagna interesse spodestando il Regno Unito, poi ancora da Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda.
A favorire il trasferimento all’estero intervengono ragioni quali offerte di lavoro concrete (67%) e fattori economici (66%), ma anche il miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%).
Invece, per chi decide di restare in Italia, il motivo principale è l’impossibilità di portare con sé familiari e/o partner (54%), seguito dal forte legame affettivo con il proprio paese (26%) e dal costo della ricollocazione (25%).
Nonostante la Brexit, Londra resta la città più attrattiva per lavorare all’estero, grazie all’estrema diffusione della lingua e alla rete globale che rappresenta.
Seguono Amsterdam, Dubai e Abu Dhabi, ma nella top 30 delle città ci sono anche new entry quali Bangkok (17esimo posto) Chicago (24esimo) e Atene (27esimo).
New York, al quinto posto, guadagna tre posizioni rispetto al 2020.
Le persone provenienti da paesi con un surplus di manodopera, dovuto a tassi di natalità più elevati, tendono a essere più mobili rispetto a chi vive in aree con forza lavoro in diminuzione.
Ad esempio, il 64% dei lavoratori in Medio Oriente e Africa è attivamente disposto a trasferirsi.
Di contro, si osservano percentuali molto più basse in Nord America (16%) ed Europa (10%). Interessante notare anche l’emergere di una precisa aspettativa da parte dei lavoratori rispetto ai propri datori di lavoro: il 79% degli intervistati confida, infatti, di ricevere supporto per l’alloggio, il 78% per il visto e il permesso di lavoro, il 69% per la ricollocazione, il 54% per l’adattamento linguistico e la formazione e il 44% per la consulenza legale e finanziaria.
Salvarico Malleone
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