C’era una volta l’industria automobilistica italiana
C’era una volta, in Italia, una fiorente industria automobilistica che primeggiava in Europa e che nella Penisola era un punto di riferimento di gran parte del sistema economico, anche grazie a sostanziosi contributi pubblici.
Di quella potente industria oggi non rimane quasi nulla per molteplici ragioni, dagli errori grossolani e strategici di chi ha guidato nel tempo il gruppo dominante alla mancanza di una politica industriale che non ha difeso, com’è invece avvenuto in altri Paesi europei, la localizzazione delle fabbriche.
L’Italia da Paese produttore ed esportatore di auto è diventato Paese di consumo di auto fabbricate altrove, con la contraddizione di continuare ad essere leader nell’automotive, cioè nei componenti, che (meno male) riusciamo ad esportare, ovvero le fabbriche di auto in Germania, Francia, Est Europa ricorrono al made in Italy per allestire le vetture che poi arrivano sul nostro mercato.
La débâcle dell’industria italiana dell’auto è il risultato dell’incontro tra insipienza imprenditoriale e incapacità politica.
Il fatto è che il copione si sta ripresentando per un’appendice del comparto, quello dei bus e delle autocorriere.
Un tempo due marchi, BredaMenarini e Iveco, giocavano un ruolo da protagonisti riuscendo a coniugare l’innovazione col design.
Oggi Iveco è controllata (27%) da Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, con sede in Olanda, e si è posizionata soprattutto sui veicoli commerciali, mentre BredaMenarini, controllata da Invitalia e Leonardo, starebbe per essere acquisita dal gruppo cinese Dongfeng.
La BredaMenarini è in agonia da alcuni anni nonostante il boom delle commesse in seguito al rinnovamento del trasporto pubblico per la transizione ecologica.
Ma, né da parte imprenditoriale, né da parte della politica ci sono state iniziative per rilanciarla e con essa riaffermare la presenza dell’industria italiana nell’importante settore degli autobus. Secondo la Regione Emilia-Romagna (gli stabilimenti produttivi sono a Bologna e Avellino) il gruppo cinese ‘non ha esperienza nel settore e non dà prospettive industriali’.
Perciò andrebbe privilegiata un’offerta italiana (c’è una proposta del gruppo Serti, sede a Caserta, quotato a Piazza Affari, attivo nell’automotive) o comunque trovata una soluzione nazionale per evitare la cancellazione anche di questo spicchio dell’industria dei trasporti.
Ma occorre fare alla svelta e non muoversi a passi da lumaca, come sovente è accaduto.
Piero Vernigo
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