Il dollaro resiste all’assalto di Russia e Cina
Un anno fa, più o meno di questi tempi, si faceva un gran parlare di iniziative volte alla creazione di una moneta internazionale alternativa al dollaro.
I leader dei Brics (Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica pari a un quarto dell’economia globale) riuniti a Johannesburg aprivano le porte ad altri paesi dell’Est e Sud del mondo per costituire una forza d’urto che scalzasse il dollaro dalla sua posizione di dominus degli scambi internazionali e principale valuta di denominazione delle riserve delle banche centrali.
Vladimir Putin dichiarava che “l’inizio della fine del dollaro era cominciato”.
I cinesi si davano da fare per promuovere il loro renminbi come alternativa.
Dodici mesi dopo quei propositi appaiono più che altro velleità.
Basti pensare che a causa delle divisioni interne l’idea di una moneta alternativa non entrò neppure nella dichiarazione finale di Johannesburg dell’agosto del 2023.
Secondo gli esperti i Brics, che sulla carta rappresentano l’unica vera minaccia potenziale per il dollaro, sono paesi troppo diversi tra loro per funzionare come gruppo.
Alla fine dello scorso anno Mosca chiese a New Dehli di pagare le sue importazioni di petrolio siberiano in Yuan ma l’India si rifiutò: o in dollari o non se ne fa niente.
Alla fine è stato raggiunto un compromesso per il quale oggi gli indiani pagano il petrolio russo in dinari degli Emirati!
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali il dollaro copre l’88% delle transazioni internazionali e il 60% delle riserve delle banche centrali.
Il biglietto con l’effige di Abraham Lincoln resta saldamente al centro del sistema.
Di sostituzione del biglietto verde nel suo ruolo di pivot degli assetti finanziari, del resto, si parla da almeno mezzo secolo senza risultati.
È rimasta celebre la frase pronunciata ai concorrenti degli Usa dal segretario al Tesoro americano, John Connoly, 70 anni fa: “Il dollaro è la nostra moneta e un vostro problema”.
L’insostituibilità del cosiddetto Greenback poggia su diversi fattori.
Gli investitori di Wall Street, la più grande borsa del mondo, e i cinque Big Tech Usa (Google, Facebook, Apple, Amazon e Uber) che dominano il mercato mondiale operano in dollari e non sono certo disposti a cambiare.
L’apparato industrial militare lavora in dollari.
Gli Usa hanno 700 basi militari sparse in 80 paesi del mondo che sono la proiezione sul piano della forza di un bilancio della Difesa che è dieci volte quello dei rivali.
A questo si aggiunge la camicia di forza della rete Swift, la rete di messaggistica interbancaria sotto controllo Usa che permette di regolare le transazioni finanziarie tra le banche internazionali.
Ogni bonifico e ogni scambio finanziario passano attraverso la Federal Reserve di New York.
Essere espulsi da Swift, come accade oggi alle maggiori banche russe, compromette il funzionamento dell’economia.
Qualche anno fa Paribas fu punita per avere aggirato le sanzioni all’Iran e dovette pagare una multa di ben 9 miliardi di euro per rientrare nel sistema.
Nel 2015 l’Iran ha dovuto rinunciare ai suoi programmi di ricerca nucleare per rientrare nel sistema.
Swift è il braccio armato del biglietto verde.
La sua potenza di fuoco supera quella delle armi convenzionali e non convenzionali.
I nemici del biglietto verde dovranno darsi molto da fare per creare una moneta alternativa, dovranno superare le divisioni interne, trovare una leadership riconosciuta per mettere a segno l’operazione rimpiazzo del dollaro.
“Il dollaro continua a essere la moneta più usata nelle transazioni internazionali e come valuta di riserva. Per la sua fine bisognerà aspettare”, sostiene Christopher Wallen, uno dei governatori della Federal Reserve.
Raimondo Adimaro
Commenti
Il dollaro resiste all’assalto di Russia e Cina — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>