L’export italiano è il quinto al mondo
La recessione mondiale legata alla crisi dei debiti sovrani, l’austerità germanica trasmessa all’Europa, la pandemia di Covid-19 e i lockdown, la crisi energetica e ora, potenzialmente, lo shock logistico del Mar Rosso: nonostante i fattori di crisi e i “cigni neri” emersi su scala globale nell’ultimo quindicennio un trend costante ha accompagnato l’economia italiana, l’andamento esplosivo dei dati sull’export delle imprese, soprattutto manifatturiere.
La globalizzazione, che su molti fronti ha mostrato la criticità dell’Occidente, dell’Europa e dell’Italia nella competitività in settori strategici con alleati (Usa) e nuovi sfidanti (Cina), è stata sul fronte industriale e manifatturiero un autentico trionfo per le imprese italiane
L’export italiano era di 369 miliardi di euro nel 2008, prima della Grande Recessione.
Nel 2023 ha fatto segnare la quota record di 626,2 miliardi di euro: +69,6% in quindici anni, nel pieno della grande tempesta della geopolitica globale, della sempre più tenace policrisi, dell’ascesa di nuovi competitor.
Dal decimo posto l’Italia ha scalato posizioni fino alle sesta posizione tra le potenze dell’export nel 2022 e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy guidato da Adolfo Urso ha comunicato che nel 2023, col sorpasso sulla Corea del Sud, l’Italia si è posizionata al quinto posto su scala mondiale.
Davanti a Roma, solo i giganti: Cina, Stati Uniti, Germania e Giappone.
Non passa settimana senza che emerga un nuovo record sulla conquista di mercati da parte di prodotti italiani.
Solo per restare a casi di cronaca recenti: l’export dell’industria agroalimentare è a 64 miliardi di euro, +6% sul 2022, record storico.
La cantieristica navale segna nuovi picchi a 4 miliardi di euro e 600 barche.
Volano anche le macchine utensili: 4 miliardi di euro di export su 7,6 totali di fatturato del settore.
Sorge un grande paradosso sul sistema-Paese: siamo, anzi, saremmo tra i vincitori della globalizzazione ma non ce lo vogliamo dire.
Non lo vogliamo sottolineare.
Non vogliamo rispondere a questi risultati con le politiche che andrebbero poste in essere per puntellarne il potenziamento.
Prima fra tutte una conversione crescente tra politiche industriali volte a potenziare le capacità produttive delle imprese e incentivi a spingere verso l’alto assunzioni, salari, crescita delle competenze.
In secondo luogo: la questione delle capitalizzazioni ancora scarsamente sviluppate di molte imprese che spesso non permettono a singoli attori trainanti di avere la massa critica per rafforzarsi di fronte all’attenzione di attori esteri desiderosi di scalarle in campo finanziario.
Un fatto molto noto soprattutto per quanto concerne l’ambizione del capitalismo francese verso l’Italia.
Il terzo, e più significativo punto, ha a che fare con l’inserimento delle politiche di promozione dell’export e della conquista di mercati esteri in progetto di sistema-Paese capace di far dialogare tra di loro le strutture dello Stato.
L’export è una derivata prima della funzione della competitività del Paese.
La quale passa per la valorizzazione della ricerca, dello sviluppo scientifico e tecnologico e della promozione dei settori creatori di futuro.
Accademie, enti chiamati a supervisionare lo sviluppo della scienza e della tecnica e imprese innovative devono allearsi tramite partenariati pubblico-privati o presenze incrociate di capitali strategici nelle quote degli attori più importanti per spingere l’innovazione e la competitività dell’Italia in aree come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori, la robotica dove singole punte d’eccellenza esistono e sono virtuose.
Le politiche di promozione all’export devono poi incorporare una visione “geopolitica” dei mercati globali, chiamando le istituzioni e le imprese a giocare assieme.
Attori come Sace e Simest, a capitale pubblico, forniscono capitali per garantire (Sace) o abilitare (Simest) la proiezione esportatrice delle imprese.
Serve, su altri fronti, prendere esempio dalla Francia e le sue politiche di “intelligence economica” creando occasioni di confronto e camere di compensazione che ricordino come, sul fronte della conquista dei mercati esteri, l’Italia fa squadra.
Crea un collettivo, non punta solo sui fuoriclasse.
Un fatto che può essere garanzia di durata in tempi incerti.
Guglielmo d’Agulto
Commenti
L’export italiano è il quinto al mondo — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>