Il pericolo incombente della bomba iraniana
L’obbligo primario di ogni leader politico, incluso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è proteggere l’integrità dei confini del Paese e garantire la sicurezza di ogni cittadino.
Il dovere giuridico, politico e morale di Netanyahu è garantire che ogni cittadino possa vivere in pace ed essere libero, indipendente, e avere una vita prospera.
Questi obiettivi di vivere in un Paese tranquillo, prospero e sicuro sono esattamente ciò per cui si batterono i padri fondatori di Israele e ciò che ha portato a così tante guerre difensive che si sono succedute, scatenate dagli antagonisti dello Stato ebraico.
È preoccupante che in questo momento Israele si trovi di nuovo ad affrontare un attacco genocida da parte di un avversario determinato, mentre l’Iran accelera il proprio programma nucleare con un obiettivo primario in mente: l’eradicazione totale dello Stato ebraico.
“La situazione nucleare in Iran”, ha dichiarato lo scorso luglio davanti alla Knesset il vice capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane, il generale Amir Baram, “è come un’auto con tutti i pezzi pronti: ora devono essere solo assemblati”.
Israele, data la sua mancanza di profondità strategica, si trova in una posizione vulnerabile.
“L’uso anche di una sola bomba nucleare all’interno di Israele”, ha sostenuto l’ex presidente iraniano Akbar Rafsanjani, “distruggerà tutto”.
Che Teheran desideri avere le capacità nucleari necessarie per annientare lo Stato ebraico non è purtroppo una questione di congetture.
Sono numerosi gli indizi di questa intenzione.
Il cosiddetto “orologio dell’apocalisse” di “Piazza Palestina” a Teheran, ad esempio, segna l’ora della distruzione di Israele nel 2040.
Lo scorso aprile, l’Iran stesso ha lanciato in maniera indiscriminata uno sciame di oltre 300 missili balistici e droni d’attacco contro Israele, un Paese che è più piccolo dello Stato del New Jersey. L’attacco ha probabilmente segnalato “la fine della ‘pazienza strategica’ e la sua sostituzione con una politica di rappresaglia diretta contro Israele”.
Sin dalla nascita della Repubblica islamica dell’Iran nel 1979, sotto l’ayatollah Ruhollah Khomeini, quando “gli slogan (…) Morte all’America e Morte a Israele erano visti e ascoltati quasi ovunque”, l’Iran non ha esitato a esprimere chiaramente i propri obiettivi genocidi contro lo Stato ebraico.
Agli inizi di luglio, il neoeletto presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha ribadito “la dedizione di Teheran alla distruzione di Israele”.
Questo obiettivo, ha aggiunto, è “radicato nelle politiche fondamentali della Repubblica islamica”.
In precedenza, la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, avrebbe affermato: “La missione della Repubblica islamica dell’Iran è quella di cancellare Israele dalla mappa della regione”.
“Israele”, ha twittato Khamenei, “è un’entità orribile in Medio Oriente che sarà senza dubbio annientata”.
Ci sono poche speranze realistiche di modificare l’agenda iraniana.
A metà luglio, gli Stati Uniti, ancora una volta in un mero esercizio di futilità, hanno messo in guardia Teheran contro lo sviluppo di armi nucleari. Il monito è stato lanciato dopo che nel marzo scorso era emerso che “gli scienziati iraniani erano impegnati in simulazioni al computer e nella ricerca metallurgica”, azioni “rilevanti per lo sviluppo di esplosivi nucleari”.
“Esattamente entro un anno,” ha promesso il 13 luglio Aziz Rashed, portavoce degli Houthi, proxy dell’Iran, Teheran avrà missili che potranno “raggiungere l’Europa o l’Oceano Atlantico, così che gli obiettivi nucleari americani saranno nel raggio d’azione dei missili yemeniti”.
Un’arma nucleare iraniana, a quanto pare, è molto più vicina di quanto ufficialmente si ammetta. Il 19 luglio, è risultato evidente che le circostanze hanno subito un’accelerazione drammatica: il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha rivelato che “l’Iran è in grado di produrre materiale fissile da utilizzare per un’arma nucleare entro una o due settimane”. Questo potenziale sviluppo dovrebbe essere una criticità non solo per Israele, ma anche per l’Occidente.
La domanda, quindi, è: cosa si deve fare esattamente per impedire una catastrofe nucleare provocata dall’Iran, che potrebbe verificarsi da un momento all’altro?
Dal punto di vista strategico, gli Stati Uniti avrebbero dovuto agire già anni fa per impedire che il programma nucleare iraniano sconvolgesse l’equilibrio di potere nella regione, come di recente rammentato da Netanyahu davanti al Congresso USA: “In Medio Oriente, l’Iran è praticamente dietro a tutto il terrorismo. (…) Quando fondò la Repubblica islamica, l’ayatollah Khomeini promise: ‘Esporteremo la nostra rivoluzione in tutto il mondo. Esporteremo la rivoluzione islamica in tutto il mondo’.
Quale Paese ostacola fondamentalmente i piani maniacali dell’Iran di imporre l’Islam radicale nel mondo? l’America, il guardiano della civiltà occidentale e la più grande potenza del mondo. Ecco perché l’Iran vede l’America come il suo più grande nemico.
“Il mese scorso (…) il ministro degli Esteri del proxy dell’Iran, Hezbollah, ha detto questo: ‘Questa non è una guerra con Israele. Israele (…) è solo uno strumento. La guerra principale, la vera guerra, è con l’America’”.
Fermare l’Iran resta una questione politicamente molto controversa. L’attuale amministrazione statunitense è sembrata perlopiù contraria a un’azione deterrente plateale, e presumibilmente lo sarebbe ancora di più prima delle prossime elezioni presidenziali.
Se ci siano o meno alternative praticabili all’impiego di attacchi tattici, di precisione e convenzionali da parte degli Stati Uniti è un argomento che suscita molte polemiche. Il titolo di un articolo pubblicato il mese scorso dal Royal United Services Institute, il più antico “think tank” di difesa e sicurezza del Regno Unito, recita: “Le opzioni limitate per gestire la questione nucleare iraniana”.
L’articolo giunge alla conclusione che non esiste un semplice mezzo diplomatico per contrastare l’agenda iraniana sulle armi nucleari. L’autrice, Darya Dolzikova, ammette che “le soluzioni proposte sono imperfette, nessuna garantisce il successo”. Le opzioni sembrano quindi limitate a mezzi diversi dal dialogo.
A parte l’azione militare come ultima risorsa, l’unico modo possibile per garantire la sicurezza di Israele è attraverso un inasprimento e l’applicazione di sanzioni economiche e di un embargo contro le esportazioni e le importazioni dell’Iran. Un programma del genere era stato messo in atto con successo prima che l’attuale Amministrazione giungesse al potere nel 2021.
L’amministrazione Biden ha derogato alle sanzioni in vigore, consentendo così all’Iran e ai suoi proxies di tenere in ostaggio il mondo in qualsiasi modo ritenessero opportuno. Sfruttando appieno l’indugio degli Stati Uniti, Teheran probabilmente crede di avere carta bianca per sgomentare qualsiasi nazione prenda di mira, con Israele come obiettivo principale attuale.
La mancanza di volontà politica dell’amministrazione Biden e la palese debolezza dell’America attraverso la politica di appeasement, finalizzata all’invio di miliardi di dollari all’Iran, fa comprendere perché Teheran non si curi di sedicenti minacce da parte dell’America.
E il fatto di non dare seguito a tali minacce con azioni concrete, rende patetici gli Stati Uniti agli occhi non solo dell’Iran, ma anche del presidente russo Vladimir Putin e di quello cinese Xi Jinping, L’attuale crisi in Medio Oriente è chiaramente il risultato di un vuoto di potere: gli Stati Uniti hanno, in pratica, abdicato al loro ruolo di principale potenza mondiale non riuscendo a dissuadere i loro avversari.
Di fronte al rifiuto dell’America di agire con risolutezza per conto dei suoi alleati, tra cui l’Ucraina, le opzioni di sopravvivenza di Israele sembrano limitate. Nel 2020, il generale russo Andrei Sterlin commentò che “non c’è modo di determinare se un missile balistico in arrivo sia dotato di una testata nucleare o convenzionale. L’esercito deve vederlo come un attacco nucleare”.
Israele, gli Stati del Golfo, l’Europa e gli Stati Uniti presto non saranno in grado di comprendere se un lancio di un missile balistico da parte dell’Iran costituisca o meno un attacco nucleare.
Sottolineando il dilemma di Israele, il professor Eyal Zisser dell’Università di Tel Aviv ritiene che “Israele potrebbe non avere altra scelta” se non quella di condurre un attacco preventivo contro i “siti nucleari iraniani e le riserve strategiche missilistiche”. Come, quando e se tenterà di raggiungere questo obiettivo spetta a esso deciderlo, ma il tempo stringe.
Nel luglio scorso sono emerse ulteriori informazioni secondo le quali l’Iran sta, di nuovo, segretamente aumentando la propria produzione di missili balistici. Questi missili potrebbero trasportare una testata nucleare. Gli israeliani hanno tutte le ragioni per essere allarmati.
Sebbene i leader israeliani siano ben consapevoli delle intenzioni iraniane, non si può fare affidamento sugli Stati Uniti e altri alleati occidentali per contrastare o contenere i progressi dell’Iran nella produzione di armi nucleari.
Hanno dimostrato che verosimilmente preferirebbero gestire la situazione attraverso inefficaci “incontri” diplomatici.
Al vertice NATO tenutosi lo scorso luglio, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha evidenziato la minaccia che grava sull’Ucraina e sui membri della NATO: “I droni e i missili iraniani che attaccano l’Ucraina e minacciano i membri della NATO sono gli stessi che hanno tentato di colpire Israele il 14 aprile. L’Iran è il nostro nemico comune”.
Anche Farhad Rezaei ha rilevato la gravità della crisi: “Una bomba iraniana potrebbe innescare una corsa al nucleare in Medio Oriente e accelerare il ritiro degli Stati Uniti dalla regione, un vantaggio strategico per la Cina”, e anche per l’Iran.
Tuttavia, l’amministrazione Biden evidentemente “non ha una chiara strategia nei confronti dell’Iran”, ma al contrario “è disposta a raggiungere accordi con gli iraniani quando le fa comodo”, ha precisato il 9 luglio scorso il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran.
In risposta alla domanda di un intervistatore del 26 giugno 2024 riguardante l’Iran e la bomba nucleare, Alan Dershowitz, professore emerito di Diritto alla Harvard Law School, ha replicato: “Israele deve agire da solo. Israele deve capire che non potrà mai più contare sul sostegno inequivocabile degli Stati Uniti. Può farlo su un certo sostegno da parte degli Stati Uniti, ma lo Stato ebraico deve prendere le proprie decisioni militari e politiche”.
Quale sarà la conseguenza? Israele, che per molti aspetti è solo e costretto ad agire unilateralmente, potrebbe aver bisogno di trovare il modo di impedire all’Iran di attaccarlo con armi nucleari.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta per lo Stato ebraico, e anche per l’America, come presunto baluardo dei valori democratici occidentali. “Questa è una guerra con Israele?” ha chiesto il responsabile delle Relazioni estere di Hezbollah, Khalil Rizk, ospite di un programma di Al-Manar TV, nel giugno scorso. “La mia risposta è che questa non è una guerra con Israele. Israele è solo uno strumento. La guerra principale, la vera guerra, è con l’America”.
E così l’Occidente attende le prossime mosse dell’America e di Israele, pensate per proteggere le loro popolazioni dal potenziale disastro promesso dal regime jihadista iraniano.
Nonostante il fallimento diplomatico degli Stati Uniti nel prevenire le ambizioni nucleari iraniane, e dal momento che gli USA molto probabilmente non riusciranno ad agire militarmente per impedire il breakout nucleare dell’Iran, Israele potrebbe ritrovarsi da solo a dover proteggere sia se stesso che l’Occidente.
“La più grande tragedia del popolo ebraico”, ha affermato il premio Nobel per la Pace Elie Wiesel, ” è che presta più attenzione alle promesse dei suoi amici e non alle minacce dei suoi nemici”.
I leader di Israele dovrebbero prendere sul serio le minacce dei loro nemici e agire per proteggere sia il proprio Paese che il mondo libero da un potenziale disastro imminente.
Arnaud Daniels
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