È scontro tra chiesa ortodossa russa e ucraina
La decisione del Parlamento ucraino che ha messo fuori dalla legge tutte le strutture della chiesa ortodossa russa in Ucraina per il presidente Zelenski è per la conquista dell’ “indipendenza spirituale”, per chi l’ha subita una palese violazione della costituzione, della libertà religiosa.
Il tempo concesso a tutti gli aderenti per compiere gli atti dovuti è di nove mesi.
Per capire bisogna per prima cosa considerare che la realtà ortodossa è diversa da quella cattolica: esiste un patriarca ecumenico, Sua Beatitudine Bartolomeo, che è capo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, con sue strutture, vescovi e territori di competenza canonica.
Lui è un autentico primus inter pares tra tutti i patriarchi ortodossi, con molti compiti, uno dei quali è stabilire quali Chiese abbiano diritto all’autocefalia, cioè a governarsi da sé, partecipando poi ai sinodi ortodossi, che prendono le decisioni più rilevanti sugli argomenti di interesse comune.
Il rapporto Chiesa-nazione è ovviamente molto importante in un mondo così organizzato, e un sinodo ortodosso ha dichiarato eresia il filetismo, cioè il prendere come base della giurisdizione ecclesiastica la nazionalità, cioè la razza o la tribù.
Prima dell’indipendenza in Ucraina esisteva solo la Chiesa ortodossa russa-Patriarcato di Mosca, aggiunta che serviva a indicare il riferimento canonico e quindi la totale integrazione nel Patriarcato moscovita.
Nel 1990 le cose sono cambiate, le Chiese sono diventate tre: questa russa fedele a Mosca, la neonata Chiesa ortodossa dell’Ucraina-Patriarcato di Kyiv fondata nel 1992 dal metropolita Filarete e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, ristabilita nel 1990, essendo stata fondata nel 1921 e poi sciolta nel 1936 dai sovietici.
Recentemente un sinodo di riconciliazione ha portato all’unione delle due Chiese ucraine della nuova Chiesa ortodossa dell’Ucraina, alla quale il Patriarca ecumenico, dopo una lunga riflessione durata anni, ha riconosciuto l’autocefalia, nel 2019.
Dunque questa nuova Chiesa ortodossa dell’Ucraina ha il titolo per governarsi da sé e partecipare, ove vi fossero, ai sinodi ortodossi.
Questa decisione ha causato uno scisma tra Mosca e Costantinopoli, una rottura della comunione ecclesiale che ha avuto conseguenza in tutto il mondo.
Qui è cominciato il complesso lavoro di acquisizione di beni e parrocchie da parte della nuova Chiesa.
La maggior parte delle strutture ecclesiali sono rimaste con la Chiesa russa, alla quale già appartenevano. Altre sono passate alla nuova.
Con la guerra e i suoi drammatici sviluppi la Chiesa ortodossa russa ha quindi scelto di cancellare dal proprio nome “Patriarcato di Mosca”, nel 2022. Una decisione forte, che ha indicato una rottura con l’invasore. Sincera?
Qui ovviamente la valutazione è soggettiva. Avere fiducia in una Chiesa ortodossa russa dell’Ucraina era oggettivamente difficile visti i lunghi anni di integrazione e fedeltà a Mosca, ma sarebbe stato bello per immaginare uno Stato plurale, aperto alla libertà religiosa e quindi alla convivenza nella fedeltà alla propria identità unitaria nella pluralità-
La decisione stessa lo indica, almeno tendenzialmente, e colpisce che Avvenire, informando sulla decisione del Parlamento ucraino, abbia aperto il suo articolo con questa notizia: “I parrocchiani della comunità di San Michele nel villaggio di Zeleniv, diocesi di Chernivtsi, hanno acquistato un’auto per le forze armate ucraine. Il veicolo è stato benedetto dall’arciprete Ihor Popivchu”.
Una foto della vettura circondata dai fedeli, prosegue l’articolo, apre il sito della Chiesa ortodossa ucraina: quella che, secondo le autorità nazionali, rimane un’emanazione del patriarcato di Mosca. Ma proprio la decisione di dare tanto risalto al piccolo avvenimento può dimostrare, forse, la non frequenza di accadimenti simili.
È dunque prevalsa l’idea dell’artificio, che copre una connivenza perdurante con l’aggressore. Il sospetto non può essere definito fondato o infondato, ci sarà del vero e del falso trattandosi di una Chiesa con migliaia di parrocchie.
Ma le parole della portavoce del ministero degli esteri russo dimostrano che la vera pluralità religiosa è sconosciuta anche al Cremlino: per la signora Zakarova la decisione è finalizzata a distruggere la vera ortodossia canonica, cioè l’unicità del patriarcato di Mosca.
Dal punto di vista ucraino, dimostrare che può esistere una Chiesa russa lontana e infedele quindi al Cremlino, sarebbe stato più utile che chiuderla.
La realtà bellica evidentemente ci dice che non siamo in una situazione che lo renda plausibile.
I documenti filo-russi scoperti in alcune canoniche, il possesso del passaporto russo da parte del metropolita Onufrij, che guida la Chiesa russa, sono indicazioni del perché.
Un perché che non sarà tutto, ma c’è. Tanto che il consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose ha dichiarato ufficialmente: “La minaccia principale alla libertà religiosa è l’aggressione russa, a seguito della quale gli occupati hanno ucciso decine di sacerdoti e distrutto centinaia di chiese. Nessuna organizzazione, religiosa o laica, che abbia un centro nel Paese nemico, può operare in Ucraina”.
Che in una guerra così feroce e lunga questo sia il punto non stupisce.
L’ideologia del mondo russo, proclamata congiuntamente dal Cremlino e dal patriarcato moscovita, nega l’esistenza dell’Ucraina, del diritto degli ucraini a considerarsi un popolo, ma del loro vincolo di sangue ad essere eternamente parte del “mondo russo”, che ha in Mosca il suo solo motore. Questa ideologia non deve però essere condivisa da ogni russo.
La decisione quindi aiuta a capire che non si fanno passi avanti, ma prevale la percezione dei blocchi contrapposti.
La realtà si cambia col tempo, e non stupisce che questo tempo non aiuti il pluralismo. Zelenski comunque dovrebbe ricordare che il termine migliore per parlare delle Chiese autocefale è “Chiesa ortodossa nel tal Paese” e non “del tal Paese”.
Sembra poco, ma non lo è.
Claudia Treves
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