L’amore per il piccante di peperoni e peperoncini
Charles Spence del Department of Experimental Psychology, della University of Oxford non è stato il primo e non sarà certamente l’ultimo che si chiede perché il cibo piccante è così popolare, fin dall’antichità, caratterizzando cucine e piatti tipici, determinando il successo di molte spezie e dando origine a importanti commerci.
Un gusto, quello del piccante, che trova riferimento in un’abbondante e diversificata bibliografia, ma soprattutto che sta dando origine a conoscenze che non interessano soltanto la cucina e la gastronomia, ma anche altri campi e domini includendo diverse ipotesi come quella masochistica di ricerca del brivido, di attività antimicrobiche, di azioni di termoregolazione e induzione della salivazione, di interventi di tipo medicinale riguardanti la salute e il tipo di dieta.
Attività di non poco interesse se si considera che il cibo piccante, sia pure in diverso grado di piccantezza e di qualità, è cresciuto in modo straordinario negli ultimi cinque secoli seguendo la globalizzazione alimentare e coinvolgendo ogni tipo di cucina e gastronomia, per cui oggi si stima che una persona su quattro del pianeta ogni giorno mangia cibi resi piccanti dal peperoncino (paprika), senza contare chi mangia cibi resi piccanti da diversi tipi di pepe e altre spezie come il curry, lo zenzero, la senape, il rafano.
Il piccante è una sensazione di bruciore causata dalla stimolazione di recettori del calore presenti sulla pelle e sulle mucose, ad esempio nella cavità orale, e sebbene ampiamente apprezzato non ha ricevuto altrettanto interesse di ricerche quanto altri gusti base (dolce, acido, salato, amaro e umami).
Questa sensazione è provocata da diverse molecole, come la capsaicina dei peperoncini, la piperina di vari tipi di pepe, l’isotiocianato e isosolfocianato della senape, wasabi, rafano, rapanelli, l’allicina dell’aglio, cipolla e piante simili, ma quando si parla di alimenti piccanti generalmente ci si riferisce alla capsaicina dei peperoncini e alla piperina del pepe.
Inoltre il piccante inizia oggi ad essere considerato un “gusto culturale” perché non esiste un modello animale adeguato in quanto gli animali naturalmente non speziano il loro cibo rendendolo piccante, anche se vi sono alcune prove che gli scimpanzé e i ratti possono acquisire una propensione per i cibi piccanti in seguito all’esposizione sociale con chi mangia alimenti speziati (Galef, B. G. – Enduring social enhancement of rats’preferences for the palatable and the piquant – Appetite, 13, 81-92, 1989. Rozin P., Kennel K. – Acquired preference for piquant foods by chimpanzees – Appetite, 4, 69-77, 1983).
Per questo Paul Bloom afferma che l’uomo è l’unico animale a cui piace la salsa Tabasco (Bloom P. – How pleasure works: Why we like what we like – London, UK, Vintage, 2011).
Non considerando perché diversi vegetali elaborano molecole piccanti, ma cercando di comprendere perché il piccante costituisce una importante componente delle esperienze di sapore multisensoriali in molte cucine e gastronomie umane, per ottenere una migliore comprensione di questa sensazione orale più unica e desiderabile è necessario spiegare perché le persone godono di quella che è, a prima vista, una sensazione irritante e potenzialmente dolorosa in bocca e quindi, si dovrebbe immaginare, da evitare.
Oggi si ritiene che l’origine del gusto culturale del piccante possa avere origine in una differenza individuale delle persone in termini di gradimento della piccantezza nel loro cibo. riguardante non solo la risposta edonica alla capsaicina e ad altre molecole piccanti provocatrici di una sensazione di bruciore, ma anche delle valutazioni sensoriali-discriminative dell’intensità percepita.
Differenze individuali nella propensione di un individuo ad acquisire una predilezione per la piccantezza dipendono da una serie di fattori genetici, di anatomia orale (densità di papillose gustative), personalità e condizioni culturali e anche differenze nel flusso salivare che possono svolgere un ruolo gustativo.
Per questo tutto sarebbe iniziato da un antico e complesso rapporto tra geni, dieta e cultura avvenuto più volte e in diverse parti del mondo, in Asia e poi Europa per il pepe, in America e in seguito in tutto il mondo per il peperoncino, in diverse parti del mondo per gli altri vegetali piccanti.
Indubbiamente l’uso di vegetali di gusto piccante serve ad aromatizzare un alimento insipido e quindi dare rilievo gastronomico a molti cibi, conserve alimentari e piatti, ai quali ancora oggi pepe, peperoncini e altre spezie piccanti sono aggiunte per dare sapore.
Non bisogna dimenticare la funzione delle spezie piccanti come farmaci in medicine tradizionali di diverse culture, la loro attività antimicrobica che favorisce la conservazione di alimenti e da qui la loro presenza in soprattutto in molti salumi e la capacità di aumentare la salivazione e contribuire quindi una buona digestione (prima digestio fit in ore, la prima digestione avviene in bocca afferma la Scuola medica salernitana nel Regimen Sanitatis Salernitanum).
Tuttavia importante è il significato culturale anche di tipo identitario dei cibi resi piccanti da spezie come pepe, peperoncino, senape, wasabi, rafano, rapanelli, aglio, cipolla e piante simili che, come le medievali noci moscate, chiodi di garofano e cannella, hanno sempre avuto anche un ruolo culturale come segno di un particolare stato sociale.
Ancora oggi la capacità di consumare cibi molto piccanti è spesso usata come segno di una mascolinità, soprattutto in paesi e culture in cui non è una parte fondamentale della dieta e come portano a ritendere i risultati sul ruolo del testosterone salivare sulla quantità di peperoncino aggiunto al cibo e alla sua piccantezza auto-valutata (Bègue L., Bricout V., Boudesseul J., Shankland R., Duke A. A. – Some like it hot: Testosterone predicts laboratory eating behavior of spicy food – Physiology and Behavior, 139, 375-377, 2015).
Giovanni Ballarini presidente Accademia Nazionale della Cucina
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