Rieletto Donald Trump, è il 47esimo presidente USA
Nella notte tra il 5 e il 6 novembre tutte le incertezze sul prossimo governo degli Stati Uniti sono state spazzate via.
Donald Trump è il nuovo presidente, il Senato è passato dal controllo democratico al controllo repubblicano e sembra probabile che lo stesso avvenga per la Camera.
Fino alla vigilia delle elezioni, i sondaggi mostravano una competizione estremamente serrata tra i due candidati.
Le presidenziali si decidono tramite l’Electoral College, ma anche le previsioni su questo fronte riflettevano un testa a testa, con probabilità statisticamente identiche di vittoria per entrambi.
Il voto ha premiato Trump, che ha vinto in tutti i cosiddetti stati contesi. La maggior parte degli stati americani ha solide tradizioni di voto verso una parte o l’altra; dunque, i candidati di fatto partono già con oltre 200 voti elettorali ciascuno e l’elezione si decide nei cosiddetti “battleground” o “swing states”.
Questa volta erano sette gli stati in bilico con un totale di 93 delegati, dai sei del Nevada ai diciannove della Pennsylvania.
I sondaggi degli ultimi giorni prima delle elezioni mostravano una situazione molto incerta in tutti, con pochi punti percentuali a separare i due candidati: Harris era data leggermente favorita in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin (il cosiddetto Blue Wall) e Trump in Georgia, Arizona e North Carolina.
Il Blue Wall non ha retto e Trump ha vinto non solo in Georgia e North Carolina, ma anche in Pennsylvania e Wisconsin. Le vittorie in questi stati sono tra uno e tre punti percentuali, ma tutti i risultati sono orientati nella stessa direzione.
Trump ha inoltre vinto il voto popolare, un traguardo che i repubblicani non raggiungevano dal 2004.
Anche i risultati delle elezioni per il Congresso sono fondamentali nel sistema americano, data l’importanza dei “checks and balances”.
Il Congresso, infatti, ha il potere di influenzare e limitare le azioni del presidente attraverso leggi, bilanci e indagini, rappresentando un contrappeso essenziale alla presidenza.
In particolare, il presidente ha bisogno del sostegno del Congresso per attuare politiche fiscali, incluse imposte e spese, che rientrano tra le competenze legislative.
Il presidente ha invece un maggiore potere in materia di dazi e altre politiche commerciali e, in parte, sulle politiche per l’immigrazione.
Se il partito del presidente non controlla entrambe le camere del Congresso, l’agenda politica dell’amministrazione può essere significativamente ostacolata.
Di conseguenza, l’esito delle elezioni per la Camera dei rappresentanti e per il Senato ha un ruolo cruciale nel determinare la capacità del presidente di attuare le proprie politiche.
Alla vigilia delle elezioni, il controllo del Senato degli Stati Uniti era in bilico. I senatori sono eletti per mandati di sei anni, e ogni due anni si rinnova circa un terzo del Senato, garantendo così una maggiore continuità rispetto alla Camera dei rappresentanti, dove tutti i seggi sono in gioco ogni due anni.
I democratici detenevano una maggioranza risicata di 51 seggi, grazie al sostegno di quattro indipendenti uniti al “caucus” democratico
I repubblicani avevano 49 senatori. La maggior parte dei seggi in palio (23 su 34) era occupata da democratici o indipendenti alleati dei democratici.
Il risultato delle elezioni consegna il controllo del Senato ai repubblicani: sono bastati l’Ohio e la West Virginia per ribaltare il controllo 51-49, a cui si è aggiunto il Montana, portando i repubblicani a una maggioranza di 52-48.
Prima delle elezioni, la situazione nella House of Representatives vedeva una maggioranza risicata dei repubblicani, con 220 seggi rispetto ai 213 dei democratici; la soglia di maggioranza è fissata a 218 seggi.
Il New York Times dà ai repubblicani una probabilità dell’83 per cento di conquistare il controllo della Camera.
Si prospetta dunque un Congresso controllato dai repubblicani e allineato con il presidente.
Tutto questo significa che Trump avrà una concreta possibilità di attuare il programma promesso durante la campagna elettorale, anche perché i repubblicani eletti al Congresso oggi sono molto più in sintonia con lui di quanto non lo fossero durante il suo primo mandato.
Il programma prevede misure drastiche su molti fronti, specialmente in ambito economico, sull’immigrazione e sulla deregolamentazione.
Sul piano economico, propone tagli alle imposte sulle imprese e per i redditi personali più alti, una riduzione delle regolamentazioni e un uso aggressivo dei dazi doganali, inclusa una proposta di aumentare nettamente quelli sui prodotti cinesi e di imporne uno del 10 per cento sui prodotti importati da qualsiasi paese.
In tema di immigrazione, Trump prevede misure molto severe: da una parte, propone la deportazione di massa di milioni di immigrati irregolari; dall’altra, intende introdurre restrizioni anche per l’immigrazione regolare.
In tema di deregolamentazione, ha annunciato la creazione di una “commissione per l’efficienza del governo” guidata da Elon Musk, con l’obiettivo di eliminare un buon numero di regolamentazioni federali e di ridurre il potere delle agenzie federali.
Non solo, ma Trump ha dichiarato che vorrebbe maggiore controllo sulla Federal Reserve, riducendone l’indipendenza.
Questa prospettiva è particolarmente preoccupante, poiché alcune delle sue politiche economiche, come i dazi e le restrizioni sull’immigrazione, sono potenzialmente inflazionistiche.
Gli Stati Uniti, ancora una volta, si presentano al mondo come un paese profondamente polarizzato, diviso quasi perfettamente a metà.
Il testa a testa negli stati contesi e la vittoria di Trump riflette non solo una competizione elettorale serrata, ma una frattura sociale e politica radicata, che sembra attraversare ogni strato della popolazione.
Le differenze ideologiche non sono mai state così marcate, con visioni opposte su temi fondamentali come economia, immigrazione e il ruolo del governo.
La divisione rende complesso il dialogo e ostacola l’unità nazionale, spingendo il paese verso un futuro in cui governare sarà sempre più arduo e la coesione sociale sempre più fragile.
Di fronte a un Congresso allineato con il presidente e un programma che promette misure drastiche, l’America si trova ora a un bivio, dove le sfide interne ed esterne metteranno alla prova la resilienza delle sue istituzioni e la tenuta del suo tessuto sociale.
Raimondo Adimaro
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