Il pachiderma ingannevole degli appalti pubblici
Un indicatore dell’efficienza delle pubbliche amministrazioni è il settore degli appalti di lavori, servizi e forniture, che costituisce una delle voci principali di spesa (13% del pil) e che può essere un volano per la crescita economica.
Un recente studio dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) sui tempi di aggiudicazione degli appalti pubblici in Italia, che rielabora dati pubblicati dalla Commissione europea, delinea un quadro per noi molto negativo.
Nel periodo 2018-2022 i tempi delle procedure relative agli appalti di rilevanza europea aggiudicate sulla base del criterio del miglior rapporto qualità-prezzo in Italia sono stati mediamente di 279 giorni.
In Francia, Germania e Spagna sono stati rispettivamente 102, 84 e180 giorni.
Una nota positiva è che i tempi medi in Italia sono scesi nel 2021 a 243 giorni e nel 2022 a 201 giorni.
Ma siamo ancora molto lontani dallo standard europeo, specie di Francia e Germania.
Anche per le procedure più semplici, cioè quelle basate sul minor prezzo, che pertanto non richiedono la valutazione di offerte tecniche da parte di commissioni di gara, il confronto è impietoso.
In Italia si impiegano in media 195 giorni contro i 145, 9 e 54 giorni di Spagna, Francia e Germania.
Il rapporto dell’Anac si interroga sulle cause di questo divario che non è certamente giustificato dalla diversità degli assetti normativi nei vari Paesi.
Infatti le norme sono ormai in massima parte poste da direttive europee molto dettagliate.
È vero che alcune regole nazionali possono allungare i tempi.
In Italia, per esempio, in passato esse prevedevano la verifica, in una fase preliminare alla valutazione delle offerte, di tutta la corposa documentazione amministrativa presentata dalle imprese partecipanti alla gara.
Un sensibile miglioramento dei tempi è ora dovuto, secondo l’Anac, alle modifiche legislative introdotte all’epoca del Covid (decreti legge 76/2020 e 77/2021) che hanno previsto la cosiddetta inversione procedimentale.
Le stazioni appaltanti possono cioè valutare subito le offerte attribuendo i punteggi e verificare la documentazione amministrativa soltanto dell’impresa vincitrice.
Ha avuto effetti positivi anche l’introduzione di termini entro i quali deve aver luogo l’aggiudicazione del bando il cui mancato rispetto può essere causa di responsabilità per danno erariale in capo al responsabile del procedimento (dl 76/2020).
Un contenimento dei tempi può derivare da un maggior utilizzo delle aste elettroniche, che accrescono l’efficienza e assicurano la massima trasparenza e tracciabilità anche a fini anticorruzione.
Possono essere utili anche le procedure accelerate e il cosiddetto joint procurement, come quello realizzato anche a livello internazionale nel periodo del Covid per l’acquisto di presidi medici da parte di trentotto Paesi.
Lo studio dell’Anac individua come cause principali della maggiore inefficienza l’inferiore capacità amministrativa delle stazioni appaltanti e alcuni aspetti organizzativi.
Quanto alla prima, già nel 2016 uno studio della Commissione Europea segnalava come punto di debolezza del nostro Paese la mancanza di competenze specifiche, diverse da quelle prettamente giuridiche, in seno alle stazioni appaltanti e in particolare l’assenza di esperti in materie economiche.
Lo studio indicava come modello virtuoso le centrali di committenza, come in particolare la Consip, che gestisce le procedure per conto di altre amministrazioni e che è dotata di personale più specializzato.
Quanto agli aspetti organizzativi, per esempio, le commissioni di gara incaricate di valutare i progetti inclusi nell’offerta tecnica non si dedicano in modo esclusivo per un determinato lasso di tempo a questo compito, ma aggiornano le sedute magari dopo molti giorni, con conseguente dilatazione dei tempi.
Un altro fattore critico è legato anche ai ritardi nell’esecuzione dei lavori contrattualizzati dovuti talora alla scarsa solidità e serietà delle imprese.
Che fare dunque?
Il nuovo Codice dei contratti pubblici indica alcune strade.
La prima è la digitalizzazione delle procedure e dell’intero ciclo di vita dei contratti anche con l’impiego di algoritmi.
Va anche reso operativo il cosiddetto fascicolo virtuale dell’operatore economico presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, che rende più semplice la verifica dei requisiti di partecipazione e dell’assenza di cause di esclusione.
Ma per raggiungere questi obiettivi occorrono investimenti e risorse adeguate.
La seconda, ribadita anche dall’Anac, è il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti in modo tale da accrescere la capacità amministrativa di ciascuna di esse.
Il loro numero è oggi esorbitante (4.353 a maggio 2024).
Ma per rendere più stringenti i criteri attuali bisognerebbe vincere la resistenza di molte amministrazioni a rinunciare a gestire in proprio le procedure di gara.
E questo per motivi non sempre virtuosi, tenuto conto dei tanti appetiti attorno alla torta degli appalti pubblici.
Salvarico Malleone
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