Omicidio a Stoccolma: nel 2023 bruciò il Corano
Bruciò il Corano nel 2023, scatenando le proteste rabbiose nei Paesi musulmani. Ieri sera il rifugiato iracheno Salwan Momika, 38 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco alla periferia di Stoccolma.
Proprio oggi il tribunale avrebbe dovuto emettere la sentenza nei suoi confronti nel processo per incitamento all’odio etnico. La decisione, però, è stata rinviata al 3 febbraio “in seguito alla conferma della morte del signor Momika”.
Secondo quanto riferito alla polizia, che ha aperto una indagine per omicidio, l’uomo è stato vittima di un agguato nell’appartamento di un edificio a Sodertalje, un sobborgo della capitale, dove viveva. Portato in ospedale, è deceduto poco dopo.
Secondo diversi media, Momika era in diretta sui social media e il suo omicidio potrebbe essere stato filmato.
Ad agosto, Momika, insieme al suo alter ego Salwan Najem, era stato rinviato a giudizio per “agitazione contro un gruppo etnico” nell’estate del 2023.
Secondo l’accusa, i due hanno profanato il Corano, bruciandolo e facendo commenti sprezzanti sui musulmani, in un caso fuori da una moschea di Stoccolma.
Proprio a seguito di questi episodi, le relazioni tra la Svezia e diversi paesi del Medio Oriente si sono deteriorate.
Nel luglio di due anni fa, alcuni manifestanti iracheni hanno preso d’assalto due volte l’ambasciata svedese a Baghdad, la seconda appiccando degli incendi sul terreno dell’ambasciata.
E il mese successivo, il servizio di intelligence svedese Sapo ha innalzato il suo livello di minaccia a quattro su una scala di cinque, poiché il rogo del Corano aveva reso il Paese un “obiettivo prioritario”.
Il governo svedese aveva condannato le profanazioni ricordando che la libertà di espressione e di riunione è garantita dalla Costituzione.
Nell’ottobre 2023, un uomo era stato condannato dal tribunale svedese per incitamento all’odio etnico per aver bruciato il Corano nel 2020, la prima condanna di questo tipo.
In precedenza, si riteneva che tale atto fosse protetto dalla libertà di espressione, ma da allora è stato considerato come “agitazione contro un gruppo etnico”.
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