Draghi boccia i dazi, e lui li aveva imposti alla Russia
Mario Draghi vira contro i dazi, dopo averli peraltro imposti alla Russia.
L’ex presidente del Consiglio in un editoriale pubblicato sul Financial Times, fa una totale marcia indietro, dovuta al cambio di presidenza negli Usa.
“È necessario un cambiamento radicale. Un uso più proattivo della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, contribuirebbe a ridurre i surplus commerciali e invierebbe un forte segnale alle aziende affinché investano di più in ricerca e sviluppo. Finora, l’Europa si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo“.
Il focus di Draghi sono i dazi.
“La conservazione del denaro pubblico ha sostenuto l’obiettivo della sostenibilità del debito. La diffusione della regolamentazione è stata progettata per proteggere i cittadini dai nuovi rischi tecnologici. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione – afferma -. Ma è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale“.
Le “ultime settimane hanno fornito un duro promemoria delle vulnerabilità dell’Europa. L’eurozona è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l’Ue prossima nel mirino”.
“Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera – afferma -. Due fattori principali hanno condotto l’Europa in questa situazione difficile, ma potrebbero anche farla uscire di nuovo se fosse disposta ad affrontare un cambiamento radicale“.
Il primo fattore sarebbe “l’incapacità di lunga data dell’Ue di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi“, che sono “molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli Stati Uniti potrebbero imporre“.
Secondo il Fondo monetario internazionale “le barriere interne dell’Europa equivalgono a una tariffa del 45 percento per la produzione e del 110 percento per i servizi“.
Il secondo aspetto è legato alla regolamentazione che interessa le aziende tecnologiche.
“L’Europa – prosegue Draghi – ha di fatto aumentato le tariffe doganali all’interno dei suoi confini e rafforzato la regolamentazione in un settore che rappresenta circa il 70% del Pil dell’UE“.
Il cambio di presidenza americano ha sicuramente pesato in questa nuova considerazione di Draghi.
Come tutti sanno, i dazi sono il tema principale di cui si sta occupando Trump, che li utilizza anche e soprattutto per giungere a degli accordi con quei Paesi più ostili come Messico e Canada.
Ne è un esempio il fatto che dopo averli imposti, il presidente li ha rinviati per negoziare misure di sicurezza rafforzate ai confini.
Salvarico Malleone
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