Rimboccarsi le maniche e utilizzare maggior coraggio
Angelo Gaja, classe 1940, il principe del Barbaresco è uno dei principali attori del palcoscenico enologico italiano che ha saputo valorizzare al meglio i nostri vigneti.
La sua azienda esporta in oltre cinquanta paesi.
Nelle ultime settimane è un continuo scrivere e raccontare dei dazi che Donald Trump suole imporre sulle importazioni negli States, frasi e commenti che sembrano lagne a ciclo continuo.
Il suggerimento dell’imprenditore langarolo è quello di smetterla di lamentarsi e dare precedenza al coraggio, all’intraprendenza, alla curiosità e allo spirito di adattamento.
«I prodotti italiani sono amatissimi, e ce ne vuole prima che il consumatore americano smetta di comprarli per passare ai vini cileni o a quelli australiani».

Angelo Gaja, a destra, in uno dei suoi vigneti
Parola di Angelo Gaja che, in un’intervista al Foglio, dice la sua sul particolare momento che il vino sta vivendo, minimizzando gli effetti della guerra commerciale annunciata da Trump.
Il produttore piemontese delle sue trecentomila bottiglie ne esporta circa l’80%, di cui il 20-22% raggiunge proprio il mercato a stelle e strisce. Eppure, vede il bicchiere mezzo pieno: «Non sono così pessimista», dice nell’intervista.
Da buon piemontese, infatti, è convinto che un imprenditore deve affrontare i problemi con la sua capacità, senza strepiti, senza piagnistei, senza aspettarsi che qualcuno arrivi a salvarti.
A dispetto dei tanti appelli e delle tante lettere arrivate in questi giorni all’indirizzo del Governo: dal Prosecco al Chianti Classico.
Poca fiducia nella politica?
«Non credo si debba contare solo sulla politica», dice al Foglio, paragonando il ministro degli esteri Tajani ad un Tavernello e Salvini ad un dealcolato senza spirito.
«Certo – aggiunge – ci vorrà capacità negoziale. Andare armati per fare la guerra dei dazi non è un atteggiamento giusto. Trump grida da imprenditore più che da presidente, spara cento per poi ottenere dieci o quindici».
Sempre sulla questione statunitense, Gaja ricorda come finì qualche anno fa durante la prima presidenza del tyccon.
«In fondo Trump un favore all’Italia l’ha già fatto. Dobbiamo riconoscerlo: nel 2020 e nei primi tre mesi del 2021, aveva imposto una sovrattassa del 25% all’ingresso negli Stati Uniti dei vini tedeschi, francesi, spagnoli per punire il consorzio Airbus (nell’ambito della disputa sugli aiuti all’aeronautica; ndr) e zero all’Italia. In pratica è stato un nostro benefattore. Più di così non si può pretendere», aggiunge sorridendo il re del Barbaresco.
Infine, il produttore visionario indica nuove rotte per il vino italiano: «C’è l’Asia. E sempre di più ci sarà anche l’Africa». E, poi, c’è la Russia, dove Gaja non si è mai fermato: «Il mercato russo rappresenta il 4-5% dell’export, forse anche meno, ma il nostro importatore russo, a febbraio, mi ha detto che se ci sarà un cessate il fuoco i consumi esploderanno. Lì la gente ha voglia di far festa».
La promozione è, quindi, la parola chiave per il futuro: «Il vino piace, attrae, affonda le radici nella storia, nell’umanità, nel paesaggio, nella religione, nella tradizione. Anziché attendere che qualcuno ci salvi, dobbiamo rimodulare il discorso raccontandoci all’estero ancora di più e meglio».
Guglielmo d’Agulto
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