Nel 6.000 a.C. in Sicilia si produceva vino
Enotria è un’antica regione d’Italia meridionale fin dalla prima ondata di genti italiche indoeuropee abitata dagli Enotri così denominati, secondo una credenza comune senza fondamento, dal greco οἶνος (oînos, vino) a causa dei floridi e numerosi vigneti del territorio.
Ma quando s’inizia a bere vino in Italia?
Questa storia inizia da molto lontano e parte da recenti ricerche scientifiche su antiche giare di terracotta di grande capacità prodotte nel vicino Oriente nella Cultura Shulaveri- Shomutepe del periodo neolitico in un territorio che si estende nell’Azerbaigian occidentale e nell’Armenia settentrionale.
Queste giare servono per la fermentazione, l’invecchiamento e il servizio del liquido ottenuto dall’uva prima selvatica uva e poi coltivata, come dimostrano le analisi chimiche degli antichi composti organici assorbiti dalle pareti di queste giare risalenti al primo periodo neolitico (circa 6.000-5.000 a. C.) e ci danno le prime prove archeologiche biomolecolari della nascita del vino d’uva e della viticoltura del Vicino Oriente, circa 6.000-5.800 a.C.
Questi risultati sono confermati dalla ricostruzione climatica e ambientale, insieme a prove archeobotaniche, tra cui polline d’uva, amido e resti epidermici associati a un vaso di tipo e data simili.
La scoperta del vino d’uva dell’inizio del VI millennio a.C. in questa regione è cruciale per la successiva storia del vino in Europa e nel resto del mondo.
È infatti vero che a Jiahu nella Valle Gialla della Cina già intorno al 7.000 a. C. si produce una bevanda ad alto contenuto di zucchero fermentata, ma non è di sola uva come quella del Caucaso meridionale, ma di frutta diversa tra la quale biancospino e ottenuta con procedimenti analoghi a quelli per ottenere la birra di riso e l’idromele di miele.
Se il vino nasce nel vicino oriente, quando arriva in Italia? Una delle più antiche attestazioni di commerci mediterranei con navi è nell’Egeo con i reperti di ossidiana di Milos rinvenuti negli strati tardopaleolitici e mesolitici della grotta di Franchthi nel Peloponneso e risale tra tredicimila e undicimila anni fa, quindi prima che l’uomo inventasse il vino.
Il vino nasce quando l’uomo ha già costruito solide navi con i quali fa commerci, dal Peloponneso alla Sicilia le distanze di mare non sono eccessivamente lunghe e non vi è da meravigliarsi che in questa isola durante l’Età del Rame, a partire dalle regioni dell’Egeo, vi sia il primo sbarco di vino sulla Trinacria, una terra che può considerarsi parte dell’Italia.
Nella Sicilia sud-occidentale il Monte Kronio o San Calogero si erge a quattrocento metri in un paesaggio geotermicamente attivo.
Nascosto nelle sue viscere vi è un labirinto di grotte piene di vapori sulfurei caldi che già ottomila anni fa sono visitate dall’uomo, come testimoniano vasi di ceramica di varie dimensioni dell’età del rame e scheletri umani, forse per pratiche mitiche o religiose a noi ignote.
Cinque grandi vasi ceramici sono esaminati: due contengono grassi animali, un altro residui vegetali, e il quarto riserva la sorpresa più grande: inequivocabili tracce di un vino d’uva puro risalente tra i seimila e i cinquemila e ottocento anni fa.
Molto probabilmente cibi e una bevanda rituale di grande pregio e d’importazione per l’oltre tomba di grandi personalità.
La Sicilia è nella Età del Rame e questo metallo vi è importato perché questa isola è priva di minerali metalliferi. In modo analogo è per il vino che deve essere importato in un’isola dove non vi sono evidenze di una coltivazione della vite che richiede terreni, climi e sistemi di irrigazione particolari.
Una situazione che si prolunga a lungo, tanto da entrare nella leggenda del popolo dei Ciclopi narrata da Omero.
Nel libro nono dell’Odissea questo popolo è descritto senza legge e arrogante e Polifemo che vive in una grotta accompagna i suoi pasti con latte puro e non vino, come è usanza tra i Greci, ma che lo beve quando gli è portato da Ulisse arrivato con una nave.
Un vino rosso, dolce come il miele rubato al sacerdote Marone, talmente forte da bere diluito con venti parti di acqua e che, invece, Polifemo beve senza freni, ubriacandosi con quel che ne segue.
Per una coltivazione della vite in Sicilia e avere un vino siciliano bisogna attendere i Greci che nell’VIII sec. a. C., fondano colonie in questa isola e in tutto il Sud Italia, portando nel loro viaggio attraverso il mare “color del vino” ceppi di antichi e pregiati vitigni di origine orientale (viti Aminee e vitigno Byblinos) che attecchiscono nelle nuove terre, con un sistema di coltivazione a basso ceppo permettendo una coltivazione intensiva.
Giovanni Ballarini presidente Accademia Nazionale della Cucina
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