37 comuni l’anno vengono sciolti per infiltrazioni mafiose
Le infiltrazioni mafiose, dal 1991 al 2022, hanno causato 368 scioglimenti di consigli comunali e hanno riguardato 267 comuni.
In 74 casi si è trattato di comuni sciolti più di una volta, a conferma della persistenza di condizioni di rischio anche dopo l’intervento commissariale.
L’89% di questi provvedimenti si concentra in Campania, Calabria e Sicilia, le tre regioni storicamente più esposte alla presenza della criminalità organizzata ma il fenomeno ha superato i confini del Sud: negli ultimi anni sempre più comuni del Nord sono stati coinvolti da procedimenti di scioglimento.
È proprio per capire quali sono le cause di tutto questo che la Banca d’Italia ha pubblicato lo studio “Il rischio di infiltrazione mafiosa nei comuni italiani”, contenuto nella collana Quaderni dell’Antiriciclaggio.
Il lavoro è strutturato su modelli statistici e tecniche di machine learning nella convinzione che sia così possibile individuare preventivamente segnali di rischio nei bilanci comunali e nei flussi finanziari.
L’idea alla base dello studio è che, analizzando i dati, si possa individuare per tempo se un comune è a rischio, prima che si arrivi al suo scioglimento.
Tra il 2016 e il 2021 sono stati sciolti 221 comuni per infiltrazioni mafiose.
Il numero più alto si registra nel 2016 con 52 scioglimenti, seguito dal 2017 con 50 e dal 2018 con 42. Dal 2019 in poi si osserva un calo costante: 38 comuni sciolti nel 2019, 24 nel 2020 e 15 nel 2021.
La diminuzione progressiva non indica necessariamente da intendersi come un segnale positivo, come una riduzione del rischio, potrebbe infatti spiegarsi con la variazione di alcune disposizioni di legge, con i tempi delle indagini o anche le strategie di contrasto che si decide di attuare prima di optare per lo scioglimento. In media, nel periodo considerato, sono stati sciolti 37 comuni all’anno.
Lo scioglimento dei consigli comunali è uno strumento che lo Stato utilizza per contrastare la presenza della mafia nella politica locale.
Quando emergono segnali concreti di collegamenti tra amministratori e criminalità organizzata, il governo può sciogliere l’amministrazione comunale e affidare la gestione del comune a commissari nominati dallo Stato, per un periodo temporaneo.
Questa possibilità è stata introdotta nel 1991 con il decreto legge n. 164, in risposta alla crescente influenza mafiosa nei comuni, soprattutto al Sud. Oggi è regolata dal Testo Unico degli enti locali.
La legge prevede che il governo possa sciogliere un’amministrazione comunale quando ci sono prove di legami, anche indiretti, tra i suoi rappresentanti e gruppi mafiosi.
Lo scioglimento comporta la rimozione del sindaco, dei consiglieri e di tutti coloro che ricoprono incarichi legati all’amministrazione.
L’obiettivo è riportare legalità e trasparenza in situazioni in cui la gestione del comune risulta compromessa.
Dal 1991 a oggi, oltre 4,8 milioni di abitanti hanno vissuto in comuni sciolti per infiltrazioni mafiose.
Si tratta dell’8,1% della popolazione italiana. La legge introdotta come detto nel 1991 è applicata in modo sistematico, con particolare intensità nel Mezzogiorno.
Nelle regioni del Sud, infatti, il 10,2% dei comuni è stato sciolto almeno una volta. In termini di popolazione, questo si traduce in un coinvolgimento pari al 32,8% dei residenti del Sud Italia.
In pratica, quasi un terzo della popolazione meridionale ha vissuto in un territorio dove, per un certo periodo, l’amministrazione scelta dagli elettori in cabina elettorale è stata sospesa per sospetti legami con la criminalità organizzata.
Le province con la quota più alta di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose sono Reggio Calabria e Crotone, entrambe con una percentuale vicina al 20%.
Valori elevati si registrano anche per le province di Napoli e Vibo Valentia. Altre aree con presenza significativa di comuni sciolti sono la Sicilia e la Puglia.
Nel Nord Italia, solo due province hanno registrato casi di scioglimento: una in Piemonte e una in Liguria, ciascuna con un solo comune coinvolto.
I comuni del Sud e delle Isole registrano i valori più alti di rischio previsto di infiltrazione mafiosa. In Sicilia e Calabria, il rischio medio supera il 45%.
Al Centro, i livelli di rischio sono più bassi, ma il Lazio si distingue con una media del 4% e picchi superiori al 27% nel 5% dei casi più a rischio.
Nel Nord Italia, il rischio è quasi nullo, salvo eccezioni limitate in Liguria e Lombardia.
Nei comuni dove la mafia è riuscita a infiltrarsi è facilmente dimostrabile che si spende di più per far girare la macchina comunale, ma allo stesso tempo si taglia su settori cruciali come la scuola e i servizi sociali.
E così nei bilanci emerge una maggiore rigidità finanziaria e una redistribuzione delle risorse verso settori specifici, come l’edilizia abitativa e gestione ambientale, specie la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Sono proprio quelle voci che possono funzionare da spia: le amministrazioni comunali contaminate dalla mafia vengono destinate in media il 3% delle risorse in più alle spese per l’edilizia e l’11% in più a quelle per il territorio e l’ambiente.
Al contrario, destinano il 13% in meno ai servizi sociali e il 2% in meno allo sviluppo economico.
In questi comuni c’è anche un altro problema grave.
È stato infatti rilevato che c’è una riscossione inefficiente delle tasse, dovuta sia a debolezze amministrative, sia perché si sceglie di chiudere un occhio di fronte a specifiche situazioni.
A completare il pacchetto poi una deliberata e ricorrente opacità nei processi di appalto.
Lo studio di Banca d’Italia sottolinea poi che lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose ha effetti misurabili anche sui comuni vicini.
Nelle aree limitrofe si registra un aumento dell’occupazione, una crescita del numero di imprese e un rialzo dei prezzi degli immobili industriali, soprattutto nei settori in cui la criminalità organizzata è più presente.
Arnaud Daniels
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